Una banca di Milano, il Credito Italiano, è stata condannata dal Tribunale di Milano al risarcimento del danno punitivo, ex articolo 96 del codice di procedura civile. “Una rivoluzionaria sentenza“ l`ha definita il presidente del Codacons, avv. Marco Maria Donzelli, “finalmente è stato accolto il diritto al risarcimento morale per le banche che non si comportano correttamente“ ha dichiarato Donzelli, avvocato dell`attore principale.
I fatti. Un consumatore si era ritrovato un ammanco sul conto corrente. Qualcuno si era presentato in banca prelevando al suo posto 3 milioni. Nonostante la firma fosse chiaramente falsa ed il cliente avesse dimostrato che quel giorno si trovava a Bologna, il Credito Italiano si era rifiutato di restituire i soldi. Il giudice Ranieri Carla Romana ha condannato la banca non solo a restituire quanto ingiustamente prelevato, ma anche al pagamento del danno punitivo, per un importo di 500 euro. E` stata punita, infatti, non solo la condotta illecita tenuta sul fatto, ma anche la condotta processualmente tenuta, avendo la banca resistito capziosamente in giudizio, nonostante l`evidenza del torto. “Si sa che le banche non sono solite dare ragione al cliente. Ma se resistono in giudizio pur di non pagare, possono essere condannate al danno punitivo“ ha concluso Donzelli.
Ricordiamo che, a differenza degli Stati Uniti, in Italia non esiste una disciplina sul danno punitivo che possa consentire condanne esemplari contro grandi imprese o multinazionali, al fine di impedire il ripetersi di comportamenti illeciti nei confronti dei consumatori. E` quindi più conveniente pagare un cliente a fronte di una sporadica sentenza di condanna che non cambiare condotta. In questo caso si è riusciti ad ottenere giustizia grazie all`applicazione dell`art. 96 del cod. proc. civ. che stabilisce che “se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell`altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza“.