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CINEMA E PRESUNZIONE, UN CASO TUTTO ITALIANO






Quando Michele Placido alla Mostra del Cinema di Venezia ha lamentato che i critici non avevano capito il suo film ?Ovunque sei?, in decine hanno scritto sul muro del premio Coppa Codacons inventato dall’eclettico Gianni Ippoliti ?Placido, Ovunque sei, restaci!? e così via.

Quando le ?Chiavi di casa? non ha vinto alcun premio a Venezia molti si sono indignati con la giuria…ora apprendiamo che le ?Chiavi di casa di Gianni Amelio va a rappresentare l`Italia agli Oscar …UGH!!! Peggio non potevano fare…ma con una scusante: meglio il male che il peggio. Un film documentario sull` handicap, insulso e scontato in cui tutti i fotogrammi sono prevedibili come un fumetto di Topolino. Un padre bamboccio, furori luogo per quella parte, che dovrebbe far trasparire un travaglio umano nel ritrovamento di un figlio disabile ma che non muove una ciglia da cui si possa arguire che si è accorto del problema…una madre di altra bimba inguaiata che rappresenta la parte buona delle famiglie degli infelici e che fa le veci della maestra di vita ed educazione al bamboccio.

Uno spettacolo indegno di un film da terza visione dove si capisce solo che in Italia i disabili non possono fare valida terapia – che nemmeno è vero – ma devono emigrare a Berlino, e si capisce solo che avere un bimbo disabile è una prova dura da superare che non tutti, specie i bambocci come quello, possono certo superare.

Perché un certo successo allora? Per i sensi di colpa di tutti quelli che non avrebbero il coraggio nemmeno di prendere in braccio un disabile e che sono tanti, tanti quanti gli spettatori contenti di vedere quella insulsaggine. Un papino così cretino che pensa per un momento di poter portare il disabile a trovare la stangoncina finlandese di cui si è innamorato in fotografia e che pensa di risolvere il problema della diversità gettando a mare il tutore…per poi chiudere senza una conclusione per assoluta mancanza di coraggio: porterà il figlio disabile a casa della seconda moglie madre di un bel figlio sano il nostro eroe? O lo mollerà nel primo istituto per handicappati? In cosa il film si distinguerebbe da un documentario sui lebbrosi o sui malati di aids abbandonati da genitori e società?
Nulla assolutamente: lo stesso pietismo ignobile di chi non fa solidarietà ma vuol far finta di farla con un film e la stessa mancanza, comoda e ipocrita, di soluzioni reali al problema degli emarginati che mai può essere la sola famiglia.

Nessuno lo sa o almeno non si capisce anche perché ambedue le conclusioni avrebbero allontanato il pubblico. Ma il coraggio in questi casi è necessario caro Amelio, altrimenti non hai vinto a Venezia ma non vincerai nemmeno a Hollywood, a meno che gli americani non siano assetati di Giustizia sociale per far da antidoto alle ingiustizie storiche che stanno commettendo.


Carlo Rienzi ? Presidente Codacons

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