Mamme tranquille: nella scuola elementare il tempo pieno continuerà e, anzi, aumenterà. Silvio Berlusconi si preoccupa di «tranquillizzare le madri, in piazza con cartelli dove c’è scritto il contrario della realtà» mentre le scuole continuano ad essere infiammate dalla rivolta contro la riforma Gelmini, mentre cortei, assemblee e fiaccolate si sprecano, mentre gli universitari protestano all’unisono con le maestre d’asilo e tutti insieme si preparano allo sciopero generale della scuola che sarà preceduto, oggi, da quello proclamato dai Cobas. E mentre l’idea della Lega di istituire classi speciali per i bambini stranieri che non parlano la nostra lingua apre un ulteriore, rissosissimo fronte di polemica, che spacca la stessa maggioranza. Nel Pdl sono in molti a chiedere una pausa di riflessione e Alessandra Mussolini, presidente della Commissione bicamerale per l’infanzia, insorge: «È un provvedimento razzista», dice, chiedendo un incontro urgente al ministro dell’Istruzione alla quale intende dire che «alla base dell’integrazione c’è lo scambio, non la separazione». Secondo il presidente della Camera, Gianfranco Fini, invece, «se nella mozione della Lega Nord ci fosse scritto espressamente che bisogna istituire quelle che una volta si chiamavano le classi differenziate, sarebbe intollerabile. Ma questo non c’è scritto. Credo che si tratti di un’iniziativa che può favorire l’integrazione. È tutt’altro che xenofobia o razzismo». Si infuriano, invece, opposizione e sindacati e anche il Codacons, che provocatoriamente domanda se, allora, non sarebbe il caso di istituire classi differenziate anche per i bambini del Sud che non parlano correttamente l’italiano. Per l’intanto, il Codacons annuncia una raccolta di firme per chiedere le dimissioni della Gelmini. Furente l’indignazione di Di Pietro (Idv), a parere del quale la separazione delle classi a seconda del «diverso colore» dei bambini all’ingresso delle scuole «ricordano i treni di Auschwitz». Ma si indigna anche dall’Udc, dove Casini insiste: «È una vergogna. Il principio sul quale si regge la democrazia è quello dell’integrazione della diversità, non della separazione». Il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, dice intanto di non conoscere esattamente i termini della proposta, ma, osserva, «se è come l’ho letta sui giornali sarebbe aberrante. Se la genuina intenzione è quella di favorire l’integrazione, non si possono comunque fare provvedimenti per segregare i bambini». Su questo tema il premier non si pronuncia. Tiene invece a garantire che il tempo pieno, nella scuola italiana, verrà non solo «confermato dove c’era», ma addirittura «incrementato» di circa il 50-60 per cento, perché la decisione del governo di tornare al maestro unico ha «liberato insegnanti che verranno delegati al tempo pieno». Tutti fermi, la piazza si placa, la politica arretra? Neanche per idea. «Una bugia!» tuona la Cgil, che domanda: «Come è possibile arrivare a quello che dice il presidente del consiglio se almeno 130 mila persone tra docenti e Ata andranno via?». Né vale che Mariastella Gelmini tenti di spiegare che il governo cerca di «utilizzare meglio i soldi dei contribuenti», specificando che, d’altra parte, la norma che impone la razionalizzazione dei plessi scolastici fu partorita dal centrosinistra, «fatta da Bassanini nel 1998». Proprio a proposito di soldi, arriva il duro j’accuse del Governatore del Veneto, Galan: le notti bianche nelle scuole, denuncia, hanno consumato luce per 11 milioni di euro solo nei 2.800 edifici scolastici del Veneto. In tutta Italia, con circa 45 mila edifici scolastici, il costo potrebbe aggirarsi sui 180 milioni di euro: «Sprechi mostruosi – protesta Galan – che di sicuro non turbano i sonni di Veltroni ed Epifani, e questo in tempi di crisi finanzarie». Il governo, intanto, deve vedersela anche con la protesta delle Regioni, che oppongono un secco rifiuto alla richiesta di ridimensionare gli istituti scolastici entro il 30 novembre, pena il loro commissariamento: una disposizione – fa sapere il presidente della Conferenza delle Regioni, Errani – che le Regioni considerano un «punto istituzionalmente gravissimo».