Il sig. M.T. , dipendente della E.S. s.p.a., è stato costretto a lavorare in una stanza con altri sette colleghi accaniti fumatori, pur essendo affetto da faringo-laringo-tracheite cronica. Temendo gravi ed ulteriori danni per la sua salute si era rivolto dunque al Tribunale di Roma, sezione lavoro, chiedendo al giudice di ordinare al datore di lavoro di collocarlo in ambiente di lavoro dove non fosse costretto a respirare il fumo passivo dei colleghi. Il Giudice unico non aveva accolto il suo ricorso, ma il suo avvocato, Giuseppe Pucci, ha ritenuto di dover proporre reclamo al Collegio. Nel giudizio innanzi al Collegio si schierava a fianco del sig. M.T. anche il Codacons, che ormai da anni conduce una sempre viva battaglia contro il tabagismo. Con ordinanza n. 64487/2000 il Tribunale di Roma ribaltando l’ordinanza del giudice unico, ha deciso che i datori di lavoro devono tutelare pienamente la salute dei lavoratori anche dal rischio ?fumo passivo?, ed ha accolto la domanda del lavoratore M.T. . ?Il Collegio ha ritenuto?, spiega l’avv. Vincenzo Masullo Direttore dell’ufficio Legale del Codacons, ?che la diligenza del datore di lavoro dovuta nell’esecuzione degli obblighi di sicurezza non dev’essere quella media del buon imprenditore, ma deve andare oltre: deve tendere ad eliminare o ridurre al minimo qualsiasi rischio. Nel caso in cui ci siano dei lavoratori che soffrono di particolari problemi che possono degenerare a causa del fumo passivo?, continua l’avv. Masullo, ?la soluzione secondo il Tribunale di Roma, non può essere che quella di evitare che il lavoratore venga a contatto con la sostanza nociva. L’ordinanza ha infatti, previsto che il sig. M.T. deve essere collocato in una stanza dove non ci siano altri colleghi fumatori. Restano pochi margini ai datori di lavoro, dalla sentenza in commento, che peraltro richiama una Sentenza della Corte Costituzionale (la n. 399/96), in ordine a questo problema. Infatti, tutti i datori di lavoro che non vietino di fumare nei luoghi di lavoro o che non predispongano aree apposite per soli fumatori, sono costretti, come dice l’ordinanza ad adottare ?la più alta tecnologia possibile? in materia di areazione degli ambienti. Cioè non sono sufficienti i vecchi impianti di areazione, laddove ce ne sono dei nuovi che consentono di ridurre il rischio ad una ?soglia talmente bassa da far ragionevolmente escludere che la salute dei lavoratori sia messa a repentaglio dal fumo passivo o da altri agenti o sostanze nocive?, per usare le parole della Corte Costituzionale. I datori di lavoro che non intendono imporre il divieto di fumo o allestire sale per fumatori sono costretti a investire ingenti capitali per rimodernare gli impianti di areazioni che non siano della più alta tecnologia esistente. Ma questo potrebbe non bastare comunque. Infatti, per alcuni giudici italiani la soluzione è una sola: il divieto di fumo Il Pretore di Siena ha infatti ritenuto (Sent. 292/97), a nostro modo di vedere correttamente, che non potendosi determinare allo stato delle conoscenze scientifiche un limite soglia, nel senso che la scienza non è in grado di dirci se inalare X percentuale di fumo può provocare una faringite o peggio un cancro ai polmoni e X meno 1 ci dà la certezza che invece alcuna patologia insorga, l’unico rimedio valido e sicuramente efficace è il divieto di fumo e che gli areatori qualunque essi siano (vecchi o nuovi) non eliminano il rischio, in quanto comunque si sarebbe esposti a più o meno basse o alte percentuali di fumo passivo che non dimentichiamo conta tra i suoi composti potentissime sostanze cancerogene. Ed inoltre tale giudice ha anche affermato un principio importante in ordine alle spese per questi tipi di giudizio, ritenendo che queste debbono essere interamente apposte in capo al datore di lavoro, altrimenti si costituirebbe ?un ostacolo fattuale all’iniziativa anche di un singolo lavoratore a tutela di un proprio e al tempo stesso altrui diritto fondamentale della persona?. Il lavoratore oggi, dunque, non deve temere nulla: se è costretto a subire il fumo passivo sul luogo di lavoro deve prima chiedere con lettera raccomandata al datore di lavoro che intervenga ad eliminare il problema dandogli 30 giorni di tempo, dopo di che può rivolgersi al giudice del lavoro anticipando, se richiesti, all’avvocato solo gli onorari, i quanto per instaurare processi in materia di lavoro non ci sono oneri di spesa.