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Gli alpinisti in salvo: nei nostri occhi resta il tragico volo di Karl

FINALMENTE SALVI, i due alpinisti italiani sopravvissuti alla sciagura sul Nanga Parbat, raccontano i drammatici momenti in cui hanno visto morire il loro compagno Karl Unterkircher. “Eravamo a seimila metri di quota – dice Walter Nones -. La neve era molto molle e Karl avanzava adagio perché ad ogni passo sprofondava fin sopra alle ginocchia. Ad un certo punto non si è più visto. Ha fatto un volo di circa quindici metri in un crepaccio, andando a sbattere più volte contro la roccia e gli è andata sopra tanta neve“. Allora, prosegue Nones da Gilgit, in Pakistan, in un collegamento via skype su Internet, “abbiamo cercato di raggiungerlo. Lo abbiamo trovato quasi subito, però ci siamo resi conto che non c`era più niente da fare“. Era il 16 luglio. Scompariva l`uomo che veniva considerato il più bravo scalatore in attività. A 38 anni, Karl Unterkircher, sposato e padre di tre bambini, perdeva la sfida con la montagna che in Pakistan chiamano “mangiauomini“. Tentandone la conquista, negli ultimi decenni hanno perso la vita più di trenta alpinisti. Tra loro, nel 1970, Guenther Messner, fratello di un altro celebre rocciatore, Reinhold. Tutti dell`Alto Adige, i Messner, Unterkircher, Nones, Kehrer. Originari di una regione che sforna a ripetizione i campioni degli sport montani. Kehrer e Nones sono finalmente riusciti a scendere a valle, dopo undici giorni di sfibrante ascesa prima e non meno difficoltosa discesa poi, quando una schiarita ha aperto davanti a loro quella visuale che il maltempo aveva lungamente negato nei giorni prima, rallentandone o addirittura bloccandone il cammino. Hanno coperto in sci l`ultimo tratto per arrivare al pianoro ghiacciato dove, ad un`altitudine di 5700 metri, gli elicotteri hanno potuto prelevarli. “Abbiamo passato giorni non belli -continua Nones-, ma la forza ci ha fatto arrivare sani e salvi al campo base“. Lui e Kehrer hanno sperato sino all`ultimo che si potesse recuperare il corpo dell`amico e capo-spedizione. Ma al loro arrivo il coordinatore dei soccorsi, Agostino Da Polenza, parlando al telefono dall`Italia, ha spiegato che “sarebbe troppo rischioso, si metterebbero a repentaglio altre vite umane“. “Sono sicuro -ha aggiunto Da Polenza-, che nemmeno Karl lo vorrebbe“. A Karl, Simon Kehrer dedica il ricordo più toccante: “Durante la scalata, anche dopo l`incidente, lo vedevo davanti a me che mi incitava“. Chi ha sperimentato gli stati mentali che la rarefazione dell`ossigeno e la fatica producono nell`organismo umano in alta quota, conosce bene questo tipo di allucinazioni. Reinhold Messner ha raccontato quanto si sentisse sfinito un giorno, molti anni fa sull`Himalaya, e come per incanto la tenda, che non aveva più l`energia di montare, gli comparve davanti perfettamente eretta a procurargli rifugio notturno e sopravvivenza. Invisibile per lui, quella misteriosa erogazione di energia salvifica agli occhi di Kehrer ha assunto il volto di un amico caro. Che continuava ad essere capocordata e leader anche dopo essere “rimasto indietro“, come ad altre latitudini gelate dicono gli esquimesi di coloro che la neve si è portato via per sempre. A operazione conclusa, dopo avere sinora taciuto per rispetto verso i protagonisti del dramma, l`associazione dei consumatori Codacons solleva alcune perplessità sulla vicenda: “Siamo felici della positiva conclusione, ma non possiamo non chiederci chi abbia pagato le difficoltose e lunghe operazioni di recupero“. Per il Codacons gli alpinisti “hanno consapevolmente deciso di correre rischi elevatissimi. Si apprende che gli elicotteri e i mezzi tecnici per le operazioni di soccorso sono stati messi a disposizione dalle autorità pachistane. Quello che non sappiamo è se lo Stato italiano abbia pagato qualcosa per questo dispiegamento di forze e di mezzi. Se così fosse, riteniamo che le spese per il recupero dei due alpinisti non debbano essere sostenute dallo Stato e quindi dai cittadini, ma debbano essere pagate direttamente da Walter Nones e Simon Keher“. Il ministero degli Esteri risponde che lo Stato non ha speso nulla, “perchè le spedizioni sono assicurate e quindi si prevede anche questo tipo di interventi, laddove la spedizione, come purtroppo è successo in questo caso, non dovesse andar bene“.

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