«Quando nella passata stagione abbiamo perso qui al Massimino, i giorni successivi sono stati un vero inferno. Persino l´edicolante non perdeva occasione per prendermi in giro». Mario Ferrigno fa parte di quel gruppo cospicuo di palermitani che per motivi di lavoro vivono a Catania, subendo inevitabilmente le conseguenze della storica rivalità tra le due principali città siciliane. I motteggi in ufficio, per Ferrigno, di professione bancario, sono all´ordine del giorno. E lo stesso vale, ma a parti invertite, per l´architetto Roberto Galeano, catanese di nascita e palermitano d´adozione. «Ogni derby è una lotta in famiglia – spiega – perché dal lato di mia moglie sono tutti palermitani. Ma gli sfottò più accesi sono quelli che ci scambiamo con mio suocero e i miei nipoti». Insomma, che ci si trovi al lavoro o sotto il tetto domestico, per chi si è trasferito da una parte all´altra della Sicilia l´appuntamento con il derby di domenica ha un valore unico in termini d´onore calcistico e campanilistico. «Battere il Catania vale più d´una vittoria in casa della Juventus», spiega Chiara Milazzo, studentessa palermitana di scienze storiche, da poco trasferitasi nel capoluogo etneo. «In generale, devo dire che a Catania mi sono trovata subito bene, soprattutto per l´ottima organizzazione della sua università – racconta – Ma il mio dramma è che ho preso casa proprio vicino allo stadio. La mia coinquilina mi ha sconsigliato subito di appendere al balcone la bandiera rosanero e mi ha persino suggerito di lavorare sul mio accento, marcatamente palermitano». Anche Ferrigno è stato costretto a togliere dalla scrivania i suoi gadget da tifoso rosanero doc. «Meglio non provocare – dice – Ho già tante difficoltà all´indomani dei derby. L´anno passato, quando all´andata abbiamo perso, mi sono dovuto sorbire i commenti sarcastici dei colleghi. Quando al ritorno, invece, a vincere siamo stati noi, ce l´avevano tutti con me perché pensavano che, essendo anche noi siciliani, avremmo dovuto regalare la partita al Catania, che in quel momento stava lottando per non retrocedere». Non c´è via di scampo, dunque, neppure nelle partite di calcetto, «dove ho smesso di indossare la maglia rosanero per evitare di essere azzoppato». Stessa storia per gli etnei di Palermo. «Mio marito è nato qui e tifa rosanero – dice Raffaella Costantino, catanese che da 8 anni vive nel quartiere Acquasanta – Ma io, che stravedo per i rossoblù, sono riuscita a infondere la mia fede calcistica al più grande dei nostri due bambini. Solo che adesso, a scuola, è costretto a nascondere la sua passione per il Catania». Ma, al di là dei discorsi sportivi, le due città sono poi così diverse? «Catania è più dinamica e socialmente più trasversale rispetto alla borbonica Palermo», risponde l´architetto Salvatore Girianni, nato nel capoluogo che da12 anni vive alle falde dell´Etna. Diversa l´opinione di Franco Tanasi, segretario del Codacons, catanese che per anni ha fatto la spola tra le due città. «Al di là dei vecchi stereotipi – dice – le differenze sono minime, mentre ci uniscono gli stessi problemi: amministrazioni comunali sull´orlo del baratro, costo della vita sempre più alto e povertà in aumento. Insomma, più che contro, dovremmo tifare insieme per il riscatto della Sicilia».