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Il decreto non s’ha da fare: la mappa della rivolta

 In barba all’impennata del suo gradimento, il ministro all’Istruzione Mariastella Gelmini resta la più contestata del momento. Ieri è stata ricevuta al Quirinale e, poco prima, aveva affermato di voler «ridare ai giovani e a tutti coloro che frequentano l’università, una nuova speranza e cioè che gli sforzi che fanno siano valorizzati e premiati». Evidentemente, però, o la sua riforma non è abbastanza chiara, o studenti e professori non l’hanno capita. Almeno a guardare la mobilitazione che, da nord a sud, dalla scuola dell’obbligo agli atenei, monta come un’onda. Fiaccole si sono accese in tutte le principali città italiane per dire no al decreto Gelmini, mentre la protesta nelle università si allarga a macchia d’olio. A Firenze si fa lezione in strada: ieri alle Cascine, oggi nella stazione ferroviaria Rifredi. Lezioni in strada anche a Torino. Studenti e lavoratori in assemblea anche a Bari, alle facoltà di Scienze politiche e Agraria, per decidere se bloccare la didattica o annullare la cerimonia d’apertura dell’anno accademico. Assemblea di ateneo pure a Pisa, mentre gli studenti della Scuola Normale hanno sottoscritto un documento in cui si invitano gli organi dell’istituto a prendere posizione. Si profila l’interruzione delle lezioni anche alla Federico II di Napoli dove ieri gli studenti hanno occupato la sede del rettorato. E poi Bologna, dove tutti gli istituti di ricerca sono in stato di agitazione mentre gli studenti dell’università hanno sfilato nelle strade. E ancora Genova, dove gli studenti hanno bloccato le lezioni a Lettere e promettono di fare lo stesso nelle altre facoltà. Il mondo dell’università e della ricerca sembra fare sul serio, tanto che è già stata fissata per il 14 novembre la data dello sciopero generale della categoria. A meno che il decreto Gelmini non sia ritirato e si riapra (o, meglio, si apra) il confronto sulle materie da riformare. Altrettanto intransigente la protesta in scuole e licei. A Firenze e Bologna la maggior parte degli istituti superiori sono già occupati, anche se l’Unione degli studenti aveva suggerito di posticipare il blocco delle attività alla prossima settimana, in concomitanza con la discussione a Palazzo Madama. E ieri a Roma, Bologna, Torino, Napoli, Parma, Genova, Perugia, Milano, Viareggio, Brescia e Castrovillari alunni, famiglie e insegnanti sono scesi in strada nel pomeriggio e fino a tarda sera per il "No Gelmini Day & Night". Armati di fiaccole e pacifici sorrisi hanno dimostrato così la loro preoccupazione per il futuro della scuola pubblica, soprattutto quella elementare ora sotto la scure dei tagli previsti dal decreto. Finirà così? Difficile crederlo. Il calendario della protesta per i prossimi giorni è già fitto e fantasioso.  Il Codacons ha provocatoriamente proposto per domani, alle 10, «un minuto di silenzio per la scuola agonizzante». Nulla, però, a confronto di quello che promettono i Cobas (della scuola, ma non soltanto) che hanno anticipato a domani lo sciopero generale: «Sarà il più partecipato di tutta la storia del sindacalismo antagonista e la manifestazione nazionale di Roma la più grande che abbiamo mai organizzato», assicura il portavoce nazionale dei Cobas Scuola, Piero Bernocchi. Il linguaggio è di quelli vetusti, ma stavolta i Cobas potrebbero trovarsi al loro fianco anche le famiglie dei ragazzi che, a detta dei sindacati, di qui a poco, oltre che con meno maestri, si ritroveranno con meno scuola.

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