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Il diritto alla salute vale piu’ di ogni “chiusura”

Non è bastata la "promessa" di un nuovo è più moderno presidio sanitario del presidente della Regione (e commissario ad acta per la Sanità), Piero Marrazzo, per sopperire alla chiusura dello storico e centralissimo ospedale San Giacomo. Non è stato possibile fa capire in Regione che, anche di fronte all’esigenza di riorganizzare la sanità capitolina, non possono essere messe sull’altro piatto della bilancia il disagio, lo sconforto e la contrarietà netta dei tanti pazienti che da anni hanno nell’eccellenza dell’unico complesso ospedaliero di zona, il loro punto di riferimento e di assistenza specializzata. Neanche il rischio di una possibile rottura di squadre ed esperienze svolte da una equipe (medici e infermieri professionali) che solo dopo anni di affiatamento riesce ad operare con il giusto sinergismo ed automatismo hanno sortito effetto. E così dalle suppliche si è passati ai fatti, quelli veri. A livello politico in primis.  Dopo che anche il Codacons si è messo di traverso, il consiglio comunale ha approvato una mozione in cui è lo stesso sindaco ad impegnarsi per intervenire con "tutte le azioni necessarie" per scongiurare la chiusura (lo ricordiamo) dell’unico presidio sanitario del centro storico della Capitale. La contrarietà del gruppo PdL alla decisione di Marrazzo è netta. Lo si capisce dalle parole di Luca Gramazio (vicecapogruppo PdL del Comune): "Il prossimo passo da fare è quello di aprire nei tempi brevi, insieme al delegato del Sindaco di Roma, un tavolo di confronto con la Regione Lazio per affrontare questa delicata questione e trovare la migliore delle soluzioni per scongiurare la chiusura". Non è pensabile che una struttura sanitaria come quella del San Giacomo – continua – venga dismessa nell’ottica di fare cassa e l’impegno della maggioranza dell’Aula Giulio Cesare per tutelare i cittadini è garanzia della volontà di questa amministrazione di fare sempre gli interessi dei romani". O in quelle del consigliere comunale Fernando Aiuti che rilancia: "Se si chiude il San Giacomo si fa un danno gravissimo ai malati del centro storico che non possono permettersi di curarsi nelle cliniche. Inoltre – fa notare Aiuti – molte delle divisioni e delle attrezzature della struttura ospedaliera sono state da poco rinnovate, sarebbe uno spreco chiudere tutto". Ma se da un lato si scatena la caccia al "colpevole" tra giunta Storace, Marrazzo e Governo sulle responsabilità del deficit sanitario del Lazio, da lunedì, a fare anche da contrappeso sul piatto della bilancia c’è la vita stessa. Quella dei tanti sottoposti a dialisi del San Giacomo che hanno rinunciato alle cure proprio per salvare il "loro" ospedale dalla chiusura. Una forma di protesta drammatica e coraggiosa (perché senza dialisi si muore) per cercare di vincere una partita, quella del diritto alla salute, che non può essere bilanciato con nessuna altra "querelle" di motivo politico, economico e/o di "opportunità". Sempre che di opportunità si possa parlare. Perché, al di là della "protesta" spontanea dei malati che è partita lunedì, dall’Associazione Tridente e dal comitato "Salviamo il San Giacomo", la convinzione profonda è che sulla chiusura del presidio, di opportunità non si possa parlare per niente. Perché? Significa in primo luogo non fornire alcuna certezza di continuità assistenziale ai 2500 malati oncologici, ematologi, portatori di pace-maker, dializzati eccetera, visto che a poche settimane dalla chiusura dell’ospedale, nessuno sa ufficialmente dove andare a curarsi. Perché appare incredibile spostare, come se fossero pacchi inanimati, i tremila pazienti che fanno riferimento a un Dea di I livello come il San Giacomo, su altre strutture (dal Santo Spirito al Fatebenefratelli o peggio, dall’Umberto I al San Giovanni) già in sovraffollamento e dove le liste di attesa sono infinite. Non da ultimo, nessuno trova la chiusura "opportuna" perché in molti ricordano le spese di ammodernamento e ristrutturazione dell’ospedale eseguite negli ultimi anni e, paradossalmente, ancora in corso d’opera (nell’ultimo anno solare sono state consegnate opere per oltre 3 milioni di euro, basti citare la completa ristrutturazione ed ampliamento del Centro di Rianimazione, della Gastroenterologia, dell’Urologia e dei Day-Hospital di Oncologia ed Ematologia). Al San Giacomo è infatti presente la rianimazione più nuova del Lazio, è stato rifatto l’ambulatorio di cardiologia, l’endoscopia digestiva, è stata realizzata una farmacia nuovissima con macchinari anti-spreco per la distribuzione dei farmaci, sono state create camere operatorie di ortopedia, e solo ad agosto è stato inaugurato il day hospital di oncologia. A schiarire le idee, tanto per restare in tema di opportunità, c’è anche la Onlus "Codici" che ha denunciato ieri la totale assenza di concertazione e un confronto praticamente assente con il Comitato regionale degli utenti e dei consumatori. Rifilando poi come "risposta" un approfondito dossier dove sono riepilogati i punti critici del sistema sanità capitolino: dalla liste d’attesa, agli errori medici, dai costi del personale, all’efficacia del 118. Sono queste le certezze, le uniche forse, che ben conosce Beniamino Susi, primario del pronto soccorso del San Giacomo, preoccupato per la salute dei malati che lo "sciopero della dialisi" potrebbe provocare. Lo sanno i medici della Simeu Lazio (l’associazione che riunisce i dottori del sistema dell’emergenza sanitaria regionale) che scendendo in campo hanno scritto una lettera aperta a Marrazzo lanciando l’allarme ed esprimendo preoccupazione sulle conseguenze che dalla chiusura potrebbero scaturire. Ma i più coraggiosi sono forse loro, chi sta rifiutando le cure a proprio rischio, chi oggi porta avanti la propria battaglia personale incatenandosi davanti all’ingresso della struttura. Da questa settimana sono i pazienti più a rischio a scrivere un’altra pagina di una "dolorosa" battaglia per spostare l’ago della bilancia verso una decisione più sensata. Quella di lasciar stare tutto come è sempre stato al "vecchio" San Giacomo. Perché il diritto alla salute non è un gioco dove si può puntare al ribasso con superficialità. La posta è troppo alta per lasciarsela sfuggire. I cittadini lo sanno bene; alla Regione un po’ meno.  

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