La frenata dell’indice dei prezzi, trascinato dal rallentamento nel comparto energia, a novembre è forte. Si passa, su scala annuale, al 2,7% dal 3,5% di ottobre. E il ribasso mensile (0,4%) è di peso inedito da mezzo secolo: l’ultimo uguale risale al 1959. E l’Italia non è certo sola in questo processo, anzi è ancora in retroguardia. Eurolandia vede l’inflazione passare dal 3,2% al 2,1% di 15 mesi fa. E la Germania è già all’1,7%. Dietro l’apparente buona notizia (il raffreddarsi del carovita lo è certo, di primo impatto, per le famiglie) fa capolino però l’ombra della crisi, l’effetto pesante del calo dei consumi, la minaccia deflazione. Tanto che a livello europeo, proprio in base a questo dato (e quello sulla disoccupazione, ai massimi da due anni: 7,7%) sembra profilarsi un ulteriore taglio dei tassi da parte della Bce, il cui board si riunirà giovedì prossimo a Bruxelles. Se la voce energia flette, in un mese, del 4,8% (e crollano i carburanti, che ora costano meno anche rispetto a un anno fa: la benzina è calata del 10,5% in un mese e costa il 7,5% meno che a novembre 2007; il diesel è sceso dell’8,6% in un mese e del 2,1% in un anno) riportando così l’indice annuale a un meno drastico +3,2% (era 10,4% ad ottobre), non si arresta invece la marcia al rialzo degli alimentari. La pasta (più 0,5% questo mese) è a più 30% sul 2007. Il pane è aumentato dello 0,2% da ottobre e del 4,2% in un anno. E il listino della spesa per il cibo segna un più 4,7% complessivo che vola ancora largamente sopra il livello generale dell’indice, riassestatosi, con la sforbiciata appena misurata dall’Istat, quasi un punto e mezzo sotto il tetto del 4,1% (toccato a luglio e bissato ad agosto) e ai livelli di fine 2007 (2,6% a dicembre 2006). Sul caso alimentare intanto, posizioni divaricate tra gli agricoltori, che bollano come del tutto ingiustificate le impennate di alcune merci a fronte del calo di prezzi delle materie prime, e i commercianti. Anche se Confcommercio prova a gettare acqua sul fuoco della polemica pronosticando un «ridimensionamento molto consistente» per i prezzi della pasta nei mesi a venire, con il trasferimento anche al consumo della tendenza che sta cominciando a manifestarsi alla fonte, cioè nelle aziende produttrici. Tutte, per la verità. E non solo quelle del comparto alimentare. Nell’industria si accentua infatti il rallentamento dei prezzi alla produzione, che a ottobre segna un meno 1,5% sul mese precedente, portando lo score annuale a più 5,2%. Il calo mensile è il più ampio dal 1980, cioè da quando esiste l’indice; e anche qui l’origine è nel drastico ripiegamento dei prezzi dei derivati del petrolio. Mentre l’Isae annuncia che nei prossimi mesi ci si attende un’ulteriore frenata dell’inflazione, ed Emma Marcegaglia da Confindustria parla di «dato buono», da più parti però si ribadisce preoccupazione per un quadro economico complessivo nettamente depresso, in cui si iscrive anche l’effetto sui prezzi. Confesercenti ad esempio annota che «se l’inflazione scende e scenderà ancora, possono salire invece altri indicatori: chiusure d’imprese e disoccupazione». E le fanno eco i sindacati. Mentre le sigle di tutela dei consumatori non riducono l’allarme. Secondo il Codacons, malgrado tutto a fine anno ogni famiglia italiana si troverà in bilancio un aggravio di spesa pari ad almeno 1.700 euro.