ROMA – I consumatori protestano: i prezzi dei carburanti sono ancora troppo alti rispetto a quanto consentirebbero le quotazioni del greggio. I petrolieri negano speculazioni, men che meno il recupero della Robin tax a danno degli automobilisti. I numeri dicono che entrambi hanno ragione, un paradosso solo apparente, visto che la vera colpevole della rigidità dei prezzi è nel mezzo: la struttura della rete di distribuzione. “Il prezzo della benzina è diminuito di 13 centesimi dai picchi di luglio“ dichiara il presidente dell` Unione petrolifera, Pasquale De Vita. Tendenza confermata anche ieri: Agip, Erg, Esso e Total sono tornate sotto la soglia di 1,47 euro al litro per la “verde“; stesso discorso per il gasolio che all`Agip scende fino a 1,424 euro. Non basta, dice il Codacons: “I carburanti devono scendere di almeno 6 cent al litro, pari a 3 euro in meno a pieno“. In quel caso rispecchierebbero il calo del greggio dai 147 dollari al barile di metà luglio ai 107 di ieri: -27%. Il calo dei carburanti non va oltre il 4-6%. I petrolieri però fanno notare che comparare l`andamento dei futures (contratti di acquisto di quantità di petrolio che saranno consegnati solo due mesi dopo), con il prezzo finale è fuorviante. I carburanti acquistati oggi sono ricavati dal greggio consegnato al prezzo di tre mesi prima, su cui poi hanno pesato le condizioni del mercato della raffinazione (la domanda per carburanti auto cresce in primavera ed estate) e della distribuzione. Inoltre le quotazioni di Brent e Wti sono molto più volatili di quelle reali. Non sempre questo va a danno del consumatore: dal primo maggio al 14 luglio il prezzo del petrolio è salito del 32%, quello della benzina verde solo del 16%. Nel dettaglio il prezzo industriale era di 0,616 cent a maggio e 0,713 a metà luglio. Gli stessi guadagni delle compagnie di distribuzione diminuiscono se il costo della materia prima cresce troppo velocemente. In questo senso il piccolo recupero di questi giorni (+1%) non basta ad affermare che stiano scaricando altre spese (Robin Tax, ad esempio) sui prezzi finali. Proprio il carico fiscale è la componente del prezzo meno volatile: varia solo l`Iva. Le tasse pesavano 0,819 euro su 1,532 per ogni litro di verde al momento dei massimi, contro i 0,806 euro attuali. Accise e Iva sono allineate ai paesi europei, dove (vedi Inghilterra) la lenta diminuzione del costo di un pieno genera le stesse polemiche. I rischi di speculazione rimangono alti: le autorità americane stanno indagando su sospette false comunicazioni da parte delle società che operano sul mercato energetico, volte proprio a influenzare le quotazioni dei futures. Ma anche senza azioni fraudolente, o cartelli dei petrolieri, gli italiani continuano a pagare di più rispetto alle media europea: intorno ai 3-5 centesimi al litro. Non è colpa dei gestori – i cui guadagni restano inalterati a prescindere dalle fluttuazioni dei prezzi – ma della struttura e della disposizione dei punti di rifornimento: piccoli, poco automatizzati e privi di fonti d`entrata alternative ai carburanti. Un esempio: il 20 agosto un litro di benzina nelle normali catene costava in Francia 1,43 euro e 1,44 in Italia (più forte la differenza nel diesel: 1,33 contro 1,42). Per i transalpini però erano prezzi massimi facilmente evitabili rivolgendosi ai centri commerciali (coprono il 50% dell`erogato) oppure ai self-service: lo sconto medio è 10-15 centesimi al litro. Per gli automobilisti nostrani invece il rischio era opposto: incappare in esercenti piccoli o isolati in cui il pieno costava il 3-4% in più.