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L’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA TRA TRASPARENZA E RISERVATEZZA

La disciplina concernente la tutela dei dati personali si atteggia in modo particolare nei riguardi dei soggetti pubblici e dell’attività amministrativa. In questo settore, il trattamento assume caratteristiche qualitative e quantitative di assoluto rilievo. Il legame tra la pubblica amministrazione e gli organi titolari di poteri politici impone di circondare il trattamento dei dati personali di adeguate cautele, volte a salvaguardare il regolare funzionamento delle istituzioni democratiche.

Ma non c’è solo il rischio di abusi da parte del soggetto pubblico. Un trattamento inappropriato dei dati personali da parte delle amministrazioni, le quali detengono una massa ingente di informazioni relative a soggetti determinati, può rappresentare, sul piano della probabilità statistica, la fonte più ricorrente, ancorché correlata ad ulteriori condotte di diffusione svolte da privati, del pregiudizio all’interesse alla riservatezza. Il pericolo deriva dalla circostanza che il trattamento dei dati personali dai soggetti pubblici, pur subordinato ad alcune regole peculiari, non richiede il consenso dell’interessato.

Al tempo stesso però, l’esigenza di incoraggiare un controllo diffuso sui comportamenti amministrativi spinge verso un ampliamento della visibilità dei flussi informativi di cui dispone il soggetto pubblico. In questo contesto, articolato e complesso, emerge, inevitabilmente, la contrapposizione tra due principi nettamente distinti, destinati a realizzare una antitesi frontale:

a) il criterio portante della trasparenza amministrativa, attuato, con forza, dalle leggi ordinamentali amministrative (legge n. 241/1990; decreto legislativo n. 29/1993; testo unico degli enti locali n. 267/2000), e direttamente correlato al valore costituzionale dell’imparzialità e del buon andamento;

b) il canone della protezione della riservatezza, anch’esso presente nella normativa primaria ed espressivo di regole di rango costituzionale, attinenti alla salvaguardia dei diritti inviolabili personali.

L’interferenza tra i due principi propone svariati problemi applicativi, derivanti da molteplici fattori:

1) il quadro normativo, pur ricco e variegato, non pare offrire, ancora, opzioni risolutive chiare ed univoche, se non in relazione ad aspetti relativamente marginali del problema;

2) le prassi amministrative risultano ancora molto incerte, anche in relazione alla definizione dell’assetto regolamentare dei singoli settori;

3) la giurisprudenza manifesta atteggiamenti articolati e non sufficientemente consolidati, benché riguardanti un’ampia casistica;

4) in questo ambito, gli stessi interventi del Garante non forniscono indicazioni interpretative del tutto appaganti, oscillando tra l’affermazione di una assoluta prevalenza del valore della riservatezza (almeno con riferimento ai dati sensibili), e la persistente operatività del sistema della trasparenza amministrativa (con riguardo specifico alla disciplina dell’accesso ai documenti).

1. Tutela della privacy ed accesso ai documenti amministrativi. LE regole speciali relative alla somuinicazione ed alla diffusione dei dati. le finalità di interesse pubblico e la previsione normativa espressa.
La questione del rapporto tra privacy e trasparenza dei soggetti pubblici si è concentrata, in modo pressoché esclusivo, nella definizione dei limiti del diritto di accesso ai documenti amministrativi.

Dal punto di vista della normativa sui dati personali, la conoscenza da parte dei terzi consentita dall’amministrazione rappresenta una specifica forma di "trattamento" dei dati (comunicazione o diffusione), suscettibile di arrecare un notevole pregiudizio alla sfera giuridico patrimoniale dell’interessato. In questa direzione, si spiega la costruzione dell’articolo 27 della legge n. 675/1996, il quale, completando la disciplina applicabile al trattamento effettuato dai soggetti pubblici, detta una disposizione generale ed una speciale.

La norma generale subordina il trattamento dei dati alla circostanza che esso sia funzionale allo svolgimento delle attività istituzionali del soggetto pubblico: le norme di legge o di regolamento possono introdurre solo "limiti" (essenzialmente negativi) a tale facoltà.

Per l’attività di diffusione e di comunicazione dei dati personali, invece, la specifica norma legislativa o regolamentare rappresenta il necessario presupposto (positivo) legittimante l’attività del soggetto pubblico. La maggiore severità imposta dal legislatore risulta coerente con l’idea che il pericolo di lesione del diritto alla privacy dell’interessato assume la massima dimensione quando il dato personale fuoriesce dalla sfera di controllo dell’amministrazione.

D’altro canto, nell’ambito della normativa riguardante l’accesso, la rilevanza della riservatezza come possibile limite alla ostensibilità dei documenti amministrativi è costantemente riconosciuta, a livello sia legislativo che regolamentare, salva la difficoltà interpretativa di precisare l’effettiva misura di questo risalto.

Dunque, entrambi i microsistemi normativi, quello della trasparenza amministrativa e quello della protezione dei dati personali, avvertono la sussistenza di un problema di coesistenza (o di opposizione) fra interessi giuridici eterogenei, potenzialmente conflittuali.

2. ACCESSO, RISERVATEZZA, e GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA. l’autonomia della pretesa all’accesso e la semplificazione delle regole di riparto.
La giurisprudenza amministrativa (e, in misura meno frequente, quella ordinaria) ha, in primo luogo, affrontato la questione del riparto di giurisdizione. Si tratta di stabilire a quale giudice spettano le controversie in cui siano implicate, al tempo stesso, la pretesa all’accesso ai documenti amministrativi e la contrapposta situazione giuridica relativa alla tutela della riservatezza.

Il dato normativo non esprime con assoluta chiarezza l’opzione legislativa.

Secondo l’articolo 29, comma 8, della legge n. 675/1996, "tutte le controversie, ivi comprese quelle inerenti al rilascio dell’autorizzazione di cui all’articolo 22, comma 1, o che riguardano, comunque, l’applicazione della presente legge, sono di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria".

Secondo l’articolo 25, comma 5, della legge n. 241/1990, invece, "contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale".

Nonostante alcune perplessità emerse nella dottrina, la soluzione della giurisprudenza è costantemente nel senso della giurisdizione amministrativa, tanto nel contesto precedente l’entrata in vigore della legge n. 675/1996, quanto nell’assetto conseguente alla nuova disciplina in tema di privacy.

L’indirizzo si collega strettamente all’idea secondo cui l’articolo 25 della legge n. 241/1990 prevede un’ipotesi di giurisdizione esclusiva amministrativa, relativa alla valutazione della legittimità della determinazione amministrativa sulla richiesta di accesso, a nulla rilevando la consistenza delle posizioni giuridiche coinvolte, o comunque poste alla base degli interessi fatti valere in giudizio.

In questo senso, si afferma che sussiste la competenza del giudice amministrativo sulle controversie in tema di accesso agli atti amministrativi ex art. 25, l. 7 agosto 1990 n. 241, anche nel caso in cui il relativo giudizio sia promosso nei riguardi di un ente che, per perseguire le proprie finalita’ istituzionali, svolge in tutto o in parte un’attivita’ "iure privatorum". L’istituto dell’accesso, che e’ escluso nei soli casi espressamente stabiliti dalla legge e puo’ esser escluso solo nei confronti di chi, senza alcun interesse, intende ingerirsi nella sfera delle libere valutazioni della p.a. – in ordine alla convenienza delle scelte da adottare -, serve a una piu’ diffusa conoscenza dei processi decisionali, intende favorire la partecipazione e il controllo sui comportamenti dei soggetti che agiscono per conto della p.a. e, infine, svolge un compito deflattivo del contenzioso. Nella specie, un’azienda speciale, costituita da un comune ai sensi dell’art. 23, l. 8 giugno 1990 n. 142, aveva indetto una procedura pubblica di selezione per l’assunzione di alcuni addetti tra i soggetti piu’ capaci e meritevoli, con cio’ ponendo in essere un procedimento di natura comparativa con criteri precostituiti, i cui atti sono quindi accessibili come quelli di un concorso a pubblici impieghi, attesa la compresenza dell’aspetto soggettivo e di quello oggettivo della gestione di un servizio pubblico (Consiglio Stato sez. V, 1 ottobre 1999, n. 1248, Foro amm. 1999, 2066).

In senso analogo, si è precisato che il diritto d’accesso relativo alla documentazione pertinente alla procedura giurisdizionale esecutiva di rilascio dell’immobile, riguarda atti e documenti che si riferiscono a un procedimento soggettivamente ed oggettivamente amministrativo, perche’ espletato da organi dell’amministrazione dell’interno in funzione di un interesse pubblico, ancorche’ strumentale all’esercizio della funzione giurisdizionale devoluta al giudice dell’esecuzione in materia di sfratti: la richiesta d’accesso rientra, pertanto, nella competenza esclusiva del giudice amministrativo (Consiglio Stato sez. IV, 3 agosto 1995, n. 589, Giur. it. 1996, III, 1, 147).

Si tratta di un indirizzo che, in termini generali, è condiviso anche dalla Cassazione, secondo la quale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta a chiunque vi abbia un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, che ricorrono, per espressa previsione di legge, nell’ipotesi in cui la conoscenza di documenti sia necessaria ai singoli per "curare o difendere i loro interessi". La distinzione fra "conoscenza del documento" e "difesa degli interessi del privato" e il nesso di strumentalita’ tra l’una e l’altra rende palese che la pendenza di un procedimento giurisdizionale (nel quale siano rilevanti i documenti in questione) non e’ di per se’ preclusivo della sperimentabilita’ del procedimento speciale previsto dall’art. 25 della l. n. 241 del 1990 e riservato alla giurisdizione speciale del giudice amministrativo. In questo contesto, e’ inammissibile la doglianza di difetto di giurisdizione compendiantesi nel rilievo dell’inesistenza della legittimazione al procedimento speciale previsto dalla disposizione indicata, potendo i documenti di cui trattasi essere acquisiti secondo le regole proprie del procedimento giurisdizionale in corso. In tal caso, infatti, non si pone una questione di giurisdizione in senso tecnico, ma una questione di merito relativa all’esistenza o meno del diritto di accesso (Cassazione civile sez. un., 28 maggio 1998, n. 5292).

Il carattere esclusivo della giurisdizione, poi, conduce ad affermare che le doglianze in tema di accesso ai documenti amministrativi non possono essere fatte valere in sede di ricorso straordinario al presidente della Repubblica, in quanto la legge prevede all’uopo un apposito procedimento attivabile dinanzi al giudice amministrativo. (Fattispecie relativa al diniego di accesso opposto ad un appuntato in congedo della Guardia di finanza circa il carteggio inerente alla proposta applicazione nei suoi confronti di una sanzione disciplinare di stato ( Consiglio Stato sez. III, 9 giugno 1998, n. 32, Cons. Stato 1999, I, 1049).

Detto indirizzo ha l’indubbio pregio di semplificare notevolmente una questione non risolta, in modo adeguato, dal legislatore. Alla base di questa linea interpretativa si pone anche l’argomento testuale secondo cui l’articolo 43 della legge n. 675/1996 ha espressamente fatto salva la precedente normativa in materia di accesso ai documenti, comprendendo, implicitamente, anche la disciplina relativa alla tutela processuale.

3. La giurisidizione amministrativa e la tutela della privacy. I problemi aperti. La ratio della legge n. 675/1996. La prevalenza sostanziale del principio di trasparenza.
Al momento, questa soluzione risulta espressiva di un vero e proprio "diritto vivente", ma pone, ancora, svariati interrogativi.

1) Intanto, sul piano sistematico, sembrerebbe che la legge n. 675/1996 intenda affermare proprio la soluzione opposta, concentrando nel giudice ordinario la cognizione su tutte le controversie riguardanti l’applicazione della normativa. Non è contestabile, poi, che la pretesa alla privacy corre i maggiori rischi proprio in relazione alle molteplici attività di trattamento svolte da soggetti pubblici.

2) La tesi della giurisdizione amministrativa non ha solo conseguenze in materia processuale, ma potrebbe anche riflettersi sulla ricostruzione del rapporto sostanziale tra accesso e privacy. Se si afferma che il giudice competente è sempre quello dell’accesso, potrebbe risultare conseguenziale l’affermazione secondo cui la riservatezza è sempre (o almeno tendenzialmente) subordinata alla pretesa rivolta alla conoscenza dei documenti.

3) Sul terreno dei principi generali in materia di riparto della giurisdizione, la soluzione dominante si espone a qualche riserva, considerando il concreto atteggiamento processuale che potrebbe assumere il titolare del diritto alla riservatezza a fronte della domanda di accesso ai documenti. Questi potrebbe limitarsi ad opporre la prevalenza del diritto alla privacy al solo scopo di paralizzare il ricorso avversario (formulando un’eccezione "impropria"). Ma potrebbe anche chiedere, in via riconvenzionale, l’accertamento, con forza di giudicato, della situazione giuridica vantata. In tale ultima ipotesi potrebbe seriamente dubitarsi della giurisdizione amministrativa. Tuttavia, la recente costruzione provvedimentale delle determinazioni amministrative in materia di accesso dovrebbe condurre a ritenere radicalmente inammissibili le pretese di accertamento "pure" (proposte in via di azione o riconvenzionale davanti al giudice dell’accesso), perché l’oggetto del giudizio resterebbe delimitato alla valutazione di legittimità del singolo atto dell’amministrazione contestato mediante il ricorso al TAR.

4) La giurisdizione amministrativa potrebbe implicare anche una opzione marcata per una struttura del giudizio diretta a valorizzare il punto di vista dell’amministrazione, piuttosto che le posizioni giuridiche private in contestazione.

5) I recenti interventi legislativi in materia di processo amministrativo, con particolare riferimento alla disciplina contenuta nella legge n. 205/2000, sembrano evidenziare una più stretta connessione tra il processo di merito ed il processo speciale in materia di accesso ai documenti.

4. Il rapporto sostanziale tra accesso e riservatezza nella legge n. 241/1990, nel regolamento n. 352/1992 e nella legge n. 142/1990. La flessibilità del rapporto fra i due interessi. Il rinvio alle fonti regolamentari. La concreta inidoneità delle fonti secondarie a risolvere il conflitto.

L’esame della giurisprudenza amministrativa riguardante il rapporto tra l’accesso ai documenti amministrativi e la tutela della riservatezza evidenzia la presenza di diversi filoni interpretativi ancora non sufficientemente consolidati.

Le peculiarità specifiche dei casi particolari giuocano spesso un ruolo determinante, a scapito della formulazione di regole orientative di portata più generale.

Si può osservare, intanto, che mancano, allo stato, leading cases idonei a definire l’esatto rapporto tra privacy e riservatezza nel sistema "a regime", dopo l’entrata in vigore della legge n. 675/1996 e del decreto legislativo n. 135/1999.

Ciò non deve sorprendere: per quanto riguarda l’accesso ai dati sensibili, la moratoria legislativa relativa al differimento dell’entrata in vigore dell’articolo 22 della legge n. 675/1996 ha determinato, nella generalità dei casi, l’inapplicabilità dei nuovi principi.

In questo contesto, quindi, mantiene ancora piena attualità, il principio di diritto affermato dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 5/1997 (Foro amm. 1997, 423), la quale individua il punto di equilibrio tra riservatezza ed accesso senza tenere conto della legge n. 675/1996, non ancora entrata in vigore al momento del deposito della decisione e nemmeno pubblicata quando l’appello era stato trattenuto in decisione.

Ne deriva che la pronuncia si svolge tutta all’interno della logica della disciplina dell’accesso ai documenti, che ne condiziona in modo evidente gli esiti.

Per meglio chiarire la portata della decisione, è necessario ripercorrere l’itinerario sviluppato dagli interpreti.

Il punto di partenza è costituito dall’articolo 24, comma 2, della legge n. 241/1990, il quale, nello stabilire i limiti oggettivi all’esercizio del diritto di accesso, autorizza il Governo ad emanare regolamenti di delegificazione, intesi a disciplinare gli altri casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alla esigenza di salvaguardare:

"a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali;

b) la politica monetaria e valutaria;

c) l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità;

d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici".

Nel disegno legislativo, la riservatezza (pur non definita nei suoi contenuti oggettivi) rappresenta uno dei criteri attuativi della normazione regolamentare.

Peraltro, l’attitudine selettiva della disciplina regolamentare basata sull’articolo 24 risulta, in concreto, piuttosto modesta, perché, l’articolo 8 del D.P.R. n. 352/1992, riproduce, in sostanza, l’ossatura dell’articolo 24 della legge, rinviando alle ulteriori specificazioni delle singole amministrazioni.

In particolare, il D.P.R. puntualizza i criteri generali per rendere operativi i limiti complessivamente indicati dall’articolo 24:

"1. Le singole amministrazioni provvedono all’emanazione dei regolamenti di cui all’art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, con l’osservanza dei criteri fissati nel presente articolo.

2. I documenti non possono essere sottratti all’accesso se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell’art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241 . I documenti contenenti informazioni connesse a tali interessi sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine, le amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso.

3. In ogni caso i documenti non possono essere sottratti all’accesso ove sia sufficiente far ricorso al potere di differimento.

4. Le categorie di cui all’art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardano tipologie di atti individuati con criteri di omogeneità indipendentemente dalla loro denominazione specifica."

Per quando riguarda l’esigenza di tutela della riservatezza, il comma 5 indica il seguente specifico criterio direttivo:

"Nell’ambito dei criteri di cui ai commi 2, 3 e 4, i documenti amministrativi possono essere sottratti all’accesso:

d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono. Deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi giuridici".

A loro volta, i regolamenti delle singole amministrazioni non aggiungono mai ulteriori elementi di risoluzione del contrasto tra i due valori della trasparenza e della riservatezza, limitandosi ad individuare i singoli tipi di documenti sottratti all’accesso, ma ribadendo, testualmente, la salvezza della garanzia della visione funzionale alla tutela degli interessi giuridici del richiedente.

Il quadro normativo risulta ulteriormente complicato dalla circostanza che altre fonti legislative di fondamentale importanza definiscono il rapporto tra accesso e privacy mediante l’uso di altre espressioni.

Il limite della riservatezza alla accessibilità ai documenti amministrativi è indicato, con diversa formulazione, anche dall’articolo 7 della legge n. 142/1990, ora trasfuso nel testo unico degli enti locali n. 267/2000 (articolo 10).

"Tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l’esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese." In tale contesto normativo, la riservatezza sembra costituire un limite assoluto alla accessibilità, ma che può determinare solo il differimento dell’accesso.

Va segnalata, infine, la previsione speciale del decreto n. 39/1997, concernente l’accesso alle informazioni ambientali.

Secondo tale disciplina, "1. Le Amministrazioni sottraggono all’accesso le informazioni relative all’ambiente qualora dalla loro divulgazione possano derivare danni all’ambiente stesso o quando sussiste l’esigenza di salvaguardare:

a) la riservatezza delle deliberazioni delle autorità pubbliche, le relazioni internazionali e le attività necessarie alla difesa nazionale;

b) l’ordine e la sicurezza pubblici;

c) questioni che sono in discussione, sotto inchiesta, ivi comprese le inchieste disciplinari, o oggetto di un’azione investigativa preliminare, o che lo siano state;

d) la riservatezza commerciale ed industriale, ivi compresa la proprietà intellettuale;

e) la riservatezza dei dati o schedari personali;

f) il materiale fornito da terzi senza che questi siano giuridicamente tenuti a fornirlo.

2. Le informazioni non possono essere sottratte all’accesso se non quando sono suscettibili di produrre un pregiudizio concreto e attuale agli interessi indicati al comma 1. I materiali e i documenti contenenti informazioni connesse a tali interessi sono sottratti all’accesso solo nei limiti di tale specifica connessione.

Nel contesto del decreto n. 39/1997, isolatamente considerato, la riservatezza rappresenta un limite rigido all’accesso, non suscettibile di alcuna deroga o limitazione. Ciò si spiega perché nel contesto del decreto n. 39/1997 la legittimazione all’accesso è riconosciuta a chiunque ne faccia richiesta, indipendentemente dalla dimostrazione di un interesse differenziato.

Ne deriva allora, in una prospettiva coerente con la fisionomia particolare delle informazioni ambientali, che l’accesso a scopo meramente conoscitivo, non correlato alla protezione di una situazione giuridica, dovrebbe cedere, inesorabilmente, a fronte della contrapposta esigenza di riservatezza.

Resta da chiedersi, però, se, in presenza di una richiesta espressamente correlata alla tutela di una situazione specifica e differenziata, ma oggettivamente riferibile alla materia ambientale, non debba comunque riespandersi la regola generale di cui all’articolo 24 della legge n. 241/1990.

5. I criteri di composizione del conflitto tra accesso e riservatezza nella dottrina e nella giurisprudenza. Il bilanciamento concreto. La consistenza delle posizioni giuridiche in conflitto. La necessità della conoscenza dei documenti.

A parte i problemi particolari posti dalle normative di settore, la disposizione contenuta nella legge n. 241/1990 appare di non agevole lettura.

La difficoltà ermeneutica deriva proprio dal modo in cui la legge provvede alla formulazione del limite concernente l’accesso, profondamente diverso dalla tecnica linguistica utilizzata nel contesto della stessa norma. Le prime tre categorie, infatti, indicano un limite tassativo, che introduce una vera e propria ipotesi di esclusione dall’accesso ai documenti.

Per contro, l’ipotesi di cui alla lettera d) individua un limite elastico (secondo taluno generico), che deve comunque conciliare la contemporanea salvaguardia dei due diversi interessi giuridici in competizione.

Sul piano formale, quindi, la riservatezza si atteggia come eccezione alla regola della accessibilità ai documenti amministrativi. Ma detta eccezione è suscettibile a sua volta di deroga (con la contestuale riespansione del principio di accessibilità ai documenti amministrativi), in presenza della condizione indicata dallo stesso articolo 24.

L’ulteriore difficoltà ermeneutica deriva dalla circostanza che la legge non definisce il concetto di riservatezza, operando, implicitamente, un rinvio alla elaborazione interpretativa maturata in ambito civilistico e penalistico. L’esteso riferimento ai titolari del diritto induce, comunque, a preferire una lettura sufficientemente ampia dell’espressione normativa.

Va osservato, peraltro, che la notevole latitudine della locuzione permette di considerare nel suo ambito non solo la riservatezza in senso stretto, intesa come situazione giuridica concernente l’intimità della sfera privata, ma anche la riservatezza in senso ampio, od economico, considerata quale protezione patrimoniale di diritti a contenuto economico. In tal senso si pone l’indicazione della riservatezza delle imprese e l’ulteriore puntualizzazione dell’interesse al riserbo industriale e commerciale racchiusa nel D.P.R. n. 352/1992.

Caduta, in concreto, la possibilità di demandare la soluzione del conflitto alla normativa regolamentare (trattandosi oltretutto di compito di difficilissima attuazione), sono stati prospettati vari criteri applicativi.

1) Il bilanciamento degli interessi nei casi concreti e la discrezionalità amministrativa. Il primo, più semplice, prende atto dell’assenza di una regola generale univoca e demanda alla valutazione del caso concreto la preferenza accordata, di volta in volta, all’uno od all’altro interesse. Ma, in tal modo, si affida all’amministrazione detentrice dei documenti una funzione di composizione di interessi privati poco conciliabile con l’attività discrezionale che caratterizza lo svolgimento dell’attività istituzionale dei soggetti pubblici. Né pare più convincente l’idea secondo cui il bilanciamento degli interessi spetta al giudice, poiché, in ogni caso, occorre individuare un criterio oggettivo (per quanto elastico) di risoluzione del conflitto.

Si tratta, peraltro, di un criterio non particolarmente fortunato in giurisprudenza, secondo la quale la privacy non va tutelata in funzione di opzioni discrezionali amministrative, ma sulla base di puntuali parametri legislativi.

In questa direzione, si afferma che il bilanciamento tra il diritto di accesso ai documenti amministrativi da parte degli interessati e il diritto alla riservatezza dei terzi non e’ rimesso alla potesta’ regolamentare o alla discrezionalita’ delle singole amministrazioni, ma e’ stato compiuto direttamente dalla l. 7 agosto 1990 n. 241, che, nel prevedere la tutela della riservatezza dei terzi, ha fatto salvo il diritto degli interessati alla visione degli atti la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (Consiglio Stato sez. V, 5 maggio 1999, n. 518, Cons. Stato 1999,I, 855 Ragiusan 1999,f. 181-2, 31).

In precedenza, però, si era talvolta manifestata l’esigenza di operare una valutazione di carattere concreto. In tema di diritto di accesso ai documenti amministrativi, la valutazione dell’interesse dei terzi alla riservatezza spetta all’amministrazione, cui e’ rimesso il dovere di tutelare i terzi medesimi da ogni eventuale pregiudizio connesso alla diffusione di notizie desumibili dalla documentazione in possesso dell’amministrazione (Consiglio Stato sez. VI, 5 ottobre 1995, n. 1085, Foro amm. 1995, 2267).

2) La valutazione astratta della consistenza delle posizioni giuridiche in conflitto. Un secondo filone, invece, opta per una valutazione di carattere generalizzante, affidata alla considerazione della sostanza delle posizioni giuridiche in conflitto. In tale prospettiva, la riservatezza costituisce sempre una posizione giuridica di rango costituzionale (che affonda le radici nello stesso art. 2 della Costituzione). La pretesa all’accesso, pur dotata di autonomia, è funzionale alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante (come stabilito dall’articolo 22 della legge n. 241/1990). Ne deriva che, nel bilanciamento di interessi, occorre considerare questa posizione di base. Solo se essa presenta i caratteri del diritto soggettivo a protezione costituzionale, la pretesa all’accesso può prevalere sull’interesse alla riservatezza.

La tesi ha il pregio di chiarire che, nel conflitto con la riservatezza, l’area della legittimazione attiva all’accesso subisce una drastica delimitazione, proporzionata al tipo di interesse azionato attraverso la richiesta di conoscenza dei documenti. Tuttavia, il meccanismo operativo del criterio può presentare margini di incertezza notevoli. A parte ogni considerazione sulla attuale validità della distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e sulla protezione costituzionale dell’interesse legittimo, occorre rilevare la difficoltà di qualificare la posizione alla base della singola richiesta di accesso e la sua meritevolezza in relazione ai parametri costituzionali. La tesi estrema, secondo cui l’accesso sarebbe consentito solo se diretto a tutelare un diritto della personalità del richiedente apparirebbe, del resto, troppo restrittiva.

3) Il pregiudizio alla situazione giuridica posta a base della richiesta di accesso ai documenti. Un altro filone interpretativo (non necessariamente incompatibile con il precedente), pone in rilievo un elemento testuale ricavato dall’articolo 24. Questa norma ammette sì l’ostensibilità degli atti incidenti sulla riservatezza dei terzi, ma solo se vi è una necessità di tutela. Non basta, dunque, una mera connessione tra la situazione giuridica e la conoscenza del documento, ma occorre un quid pluris. Questo potrebbe essere individuato in un duplice aspetto. Il primo riguarda il "grado di aggressione" all’interesse del richiedente: la situazione antigiuridica paventata deve essere in atto o, quanto meno, ragionevolmente prevedibile. Il secondo concerne il nesso di pertinenza tra il documento e la tutela dell’interesse. In questa prospettiva "necessità" è parola che esprime un concetto sicuramente più pregnante della mera "utilità", che, normalmente, consentirebbe l’accesso.

Le applicazioni concrete di questo criterio non sono comunque agevoli. L’ipotesi più semplice è quella in cui il richiedente intende utilizzare il documento amministrativo per far valere un interesse oppositivo avverso la pretesa azionata in giudizio da altri. Ma non si può escludere che detto criterio possa operare anche nei casi in cui la pretesa in giudizio sia fatta valere (in via di azione) dallo stesso richiedente, oppure anche quando il contenzioso non è ancora in atto.

Dunque, se in termini generali si afferma il principio secondo cui il diritto di accesso agli atti amministrativi e’ svincolato dal diritto di agire in giudizio e dal correlativo diritto alla prova e non postula l’accertamento sulla fondatezza e sull’ammissibilita’ dell’eventuale domanda che l’interessato potrebbe proporre, con la conseguenza che tale diritto e’ esercitabile anche nei confronti di un atto amministrativo ormai inoppugnabile, potendo l’interessato aver un diverso interesse all’accesso, quale quello ad inoltrare una denuncia penale (T.A.R. Lazio sez. III, 7 agosto 1998, n. 1968, Foro amm. 1999, 1320), detta regola non potrebbe operare quando entri in discussione la riservatezza del controinteressato, perché in tal caso bisognerebbe apprezzare l’interesse attuale del richiedente ad ottenere la conoscenza dei documenti.

6. La soluzione dell’adunanza plenaria n. 5/1997: la riservatezza come limite modale all’accesso. La sostanziale prevalenza del diritto alla conoscenza dei documenti.

La pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 5/1997 opta per una definizione del rapporto tra accesso e la riservatezza molto lineare ed elementare.
L’indagine viene svolta attraverso la valorizzazione di un altro dato testuale della disposizione. L’articolo 24 dalla legge n. 241/1990 parla di visione degli atti, laddove l’articolo 22 menziona, genericamente, l’accesso ai documenti. Secondo il giudice amministrativo, la diversità lessicale non è casuale; al contrario, essa manifesta una precisa e consapevole scelta legislativa. Quando è in giuoco la riservatezza, la pretesa all’accesso subisce una limitazione modale: il richiedente non può ottenere copia dei documenti, ma solo la visione degli atti stessi. Ciò realizzerebbe un ragionevole equilibrio tra le diverse posizioni. Non essendovi "copie" dei documenti, la diffusione del dato riservato è in radice circoscritta. Al tempo stesso, però, l’interessato può attingere alle informazioni necessarie per difendere i propri interessi giuridici.

In questo senso si pone da tempo la giurisprudenza amministrativa, osservando che il "diritto di visione", per le sue modalita’ (che escludono la rilevazione integrale con mezzi meccanici e/o elettronici), non appare idoneo a provocare quella potenziale diffusione tipizzata dei documenti che potrebbe arrecare una lesione alla riservatezza dei terzi, sicche’, sotto tale profilo, e’ illegittimo il diniego, opposto dall’amministrazione, anche di quella forma estrema di accesso alla documentazione costituita dalla mera visione degli atti (T.A.R. Campania sez. II, Napoli, 6 novembre 1995, n. 475, Foro amm. 1996,2048).

In tal modo, però, l’equilibrio fra le due contrapposte posizioni giuridiche è collocato in un’area che finisce per privilegiare decisamente la pretesa all’accesso.

7. L’accesso e la riservatezza dopo la legge n. 675/1996. La salvezza della normativa preesistente. L’influenza sistematica della nuova disciplina.

I presupposti di fondo della costruzione dell’Adunanza Plenaria non risultano affatto sconvolti dall’entrata in vigore della legge n. 675/1996. Infatti, la giurisprudenza sostiene la persistente validità del modello interpretativo esposto dalla decisione n. 5/1997, basandosi sulla precisa indicazione della stessa legge.

Sul piano sostanziale, l'articolo 43, comma 2, stabilisce che "restano ferme le disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, nonché, in quanto compatibili, le disposizioni della legge 5 giugno 1990, n. 135, e successive modificazioni, del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, nonché le vigenti norme in materia di accesso ai documenti amministrativi ed agli archivi di Stato. Restano altresì ferme le disposizioni di legge che stabiliscono divieti o limiti più restrittivi in materia di trattamento di taluni dati personali".

Da notare che, nella disposizione, la salvezza è riferita, genericamente, a tutte le norme in materia di accesso (ancorché non legislative) e non pare subordinata ad un giudizio di compatibilità, prescritto per le sole disposizioni di cui alla legge n. 135/1990. Al riguardo, tuttavia, si deve evidenziare che parte della dottrina (BUTTARELLI) ritiene necessario compiere comunque una attenta ricognizione delle norme superate dalla disciplina contenuta nella legge n. 675/1996.

L’articolo 27, poi, stabilisce che:

"1. Salvo quanto previsto al comma 2, il trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti.

2. La comunicazione e la diffusione a soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, dei dati trattati sono ammesse quando siano previste da norme di legge o di regolamento, o risultino comunque necessarie per lo svolgimento delle funzioni istituzionali. In tale ultimo caso deve esserne data previa comunicazione nei modi di cui all’articolo 7, commi 2 e 3 al Garante che vieta, con provvedimento motivato, la comunicazione o la diffusione se risultano violate le disposizioni della presente legge.

3. La comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento".

Secondo il Garante e la pacifica giurisprudenza amministrativa, la vigente normativa in materia di accesso ai documenti è pienamente idonea a soddisfare il requisito del principio di legalità espresso dall’articolo 27.

Ne deriva, allora, che, in linea di principio, il potenziale conflitto tra pretesa all’accesso e tutela della privacy deve essere risolto, ancora adesso, attraverso la applicazione della normativa in materia di accesso ai documenti, la quale pare autosufficiente, anche nella prospettiva del bilanciamento tra accesso e riservatezza.

Peraltro, questa conclusione, pur condivisibile nelle sue linee di fondo, va vagliata in funzione di almeno tre profili peculiari.

I) Il primo mette in evidenza la portata ordinamentale della legge n. 675/1996. La legge (pure dotata di una forza peculiare legata alla sua derivazione comunitaria) inserisce organicamente un corpus di norme dirette a dare risalto pieno al diritto alla tutela dei dati personali. Non si tratta solo di un rilievo indiretto sull’attività amministrativa. Al contrario, secondo lo stesso articolo 27, comma 4, "i criteri di organizzazione delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sono attuati nel pieno rispetto delle disposizioni della presente legge". È lecito ritenere che, in questo modo, il valore della tutela dei dati personali e della riservatezza abbia assunto una dimensione più pregnante. Da semplice eccezione, o limite, del diritto di accesso, la protezione della privacy (nelle articolate forme previste dalla legge n. 675/1996) pare diventata principio cardine della attività amministrativa, almeno equiordinato alla regola essenziale della pubblicità.

II) Il secondo aspetto concerne l’attitudine della legge n. 675/1996 a delineare lo stesso concetto oggettivo di riservatezza. Già nella legge n. 241/1990 la nozione si presta ad una lettura "ampia", probabilmente di raggio più esteso rispetto ai risultati della elaborazione civilistica prevalente. Nel nuovo contesto, comunque, la legge assicura una protezione qualificata al dato personale, senza preoccuparsi di delimitarne la rilevanza in funzione del grado di connessione con la sfera "intima" del soggetto. Solo per i dati sensibili il nesso presenta rilievo, ma ciò avviene esclusivamente al fine di assicurare forme di protezione ulteriori e rafforzate. La filosofia della legge n. 675/1996 è dunque molto chiara nel senso di spingere verso una interpretazione estensiva della locuzione utilizzata dalla legge sulla trasparenza amministrativa.

Si potrebbe compiere un passo ulteriore e sostenere che, ora, l’ambito della riservatezza coincide, completamente, con quello dei documenti amministrativi contenenti dati personali. Parte della dottrina propende per questa lettura. Allo stato, invece, la giurisprudenza appare ancora oscillante. Prevale l’idea secondo cui il soggetto al quale si riferiscono i dati personali è, comunque, portatore di una posizione differenziata, che lo abilita a contrastare la pretesa all’accesso, tanto in sede contenziosa, quanto in sede amministrativa.

Altra parte della giurisprudenza, invece, pur ammettendo, in linea di principio, la protezione dell’interessato, ritiene che la legittimazione processuale passiva e la titolarità di un diritto di partecipazione deriva dai principi generali non implica, necessariamente, il riconoscimento di un diritto alla riservatezza.

L’argomento è utilizzato, fra l’altro, per ammettere l’accessibilità agli esposti dei soggetti privati alla base di iniziative di controllo degli organi pubblici. Tali atti appaiono, sin dall’origine, destinati ad assumere una rilevanza esterna, direttamente collegata alla dimensione pubblica del rapporto. Il collegamento con la sfera intima del soggetto è, di per sé assente, a meno che, per il suo contenuto, lo stesso esposto o denuncia, non indichi elementi personali più strettamente connessi alla posizione privata dell’interessato.

III) Il terzo punto introduce la tematica dei dati sensibili. Per questi, la legge n. 675/1996 detta una disciplina speciale, proprio considerando le ipotesi di trattamento svolto dai soggetti pubblici. In una prima approssimazione, la legge afferma la regola della necessaria graduazione degli interessi del soggetto cui si riferiscono i dati personali. Il livello di cedevolezza di tali interessi appare direttamente correlato alla qualificazione del dato.

8. I dati sensibili e la protezione differenziata secondo la giurisprudenza amministrativa.

I precisi corollari applicativi di tale interpretazione non risultano compiutamente definiti. Si potrebbe ipotizzare che la legge indichi, implicitamente una coppia di equivalenze:

1) dati personali non sensibili = piena accessibilità;

2) dati personali sensibili = rigida esclusione dall’accesso.

Appare preferibile, invece, una soluzione più articolata. Intanto, non vi è ragione di escludere che, con riferimento ai dati personali comuni, l’esigenza di protezione della riservatezza possa assumere ancora rilievo prevalente a fronte della pretesa di accesso, quanto meno con riguardo alla operatività del limite "modale" individuato dalla Adunanza Plenaria.

Ma non sembra corretta nemmeno l’altra affermazione secondo cui i dati sensibili resterebbero del tutto impermeabili alla richiesta di accesso proposta dall’interessato che abbia la necessità di difendere un proprio interesse giuridico.

I primi interventi della giurisprudenza manifestano l’esigenza di tenere accuratamente distinta la problematica dell’accesso ai documenti relativi ai dati personali "comuni", da quella relativa ai dati sensibili. La portata effettiva della distinzione non risulta ancora del tutto univoca.

Tuttavia, in alcuni casi la distinzione viene affermata in controversie concretamente riguardanti l’accesso a dati non sensibili, allo scopo precipuo di affermare la persistente validità dei criteri elaborati dall’Adunanza Plenaria.

L’interesse alla riservatezza, tutelato dall’ordinamento positivo mediante una limitazione al diritto d’accesso ai documenti amministrativi ex l. 7 agosto 1990 n. 241, recede quando quest’ultimo sia esercitato per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante e nei soli ovvi limiti in cui esso sia necessario alla tutela, fermo restando che l’emanazione della l. 31 dicembre 1996 n. 675, a garanzia della privacy, preclude l’accesso solo per quei documenti relativi ai dati sensibili della persona (vita privata, riservatezza sullo stato di salute, fede religiosa, difesa della dignita’ umana) (Consiglio Stato sez. V, 1 ottobre 1999, n. 1248, Foro amm. 1999, 2066).

Nel conflitto tra principio di riservatezza o pregiudizio eventuale del terzo, ed esigenze di difesa di un proprio diritto, deve consentirsi l’esercizio del diritto d’accesso alla documentazione amministrativa, a garanzia di dette esigenze di difesa, sia pure nella forma piu’ attenuata della visione degli atti (Consiglio Stato sez. VI, 27 gennaio 1999, n. 65, Foro amm. 1999, 111).

A differenza di cio’ che accade per i dati personali definiti sensibili dall’art. 22 comma 1 l. 31 dicembre 1996 n. 675 – l’accesso ai documenti amministrativi potendo avvenire o con il concorso dell’interessato, oppure per espressa norma di legge -, per quelli non sensibili tra cui il trattamento retributivo dei lavoratori subordinati pubblici, l’accessibilita’ ai relativi documenti ex art. 22 l. 7 agosto 1990 n. 241 non e’ stata modificata dalla l. n. 675 del 1996, quando la conoscenza di tali atti sia necessaria per curare o difendere i propri interessi (Consiglio Stato sez. V, 10 febbraio 2000, n. 737, Foro amm. 2000, f. 2).

In altre circostanze, invece, la contrapposizione concettuale viene affermata proprio in relazione alla contestata accessibilità ai dati sensibili. Questi risulterebbero ora coperti da una tutela assoluta, superabile solo in presenza di apposita esplicita previsione normativa od autorizzatoria. Si tratta di un indirizzo ermeneutico complessivamente convincente, ma che, forse, non tiene adeguatamente conto del regime transitorio della disciplina dei dati sensibili.

A seguito dell’entrata in vigore della l. n. 675 del 1996, nel caso di richiesta di accesso a documenti contenenti dati personali sensibili relativi a terzi posseduti da una p.a., il diritto alla difesa prevale su quello alla riservatezza solo se una disposizione di legge espressamente consenta al soggetto pubblico di comunicare a privati i dati oggetto della richiesta; non costituisce ostacolo a tale conclusione la circostanza che, numerose disposizioni di legge consentono, ed in alcuni casi impongono, al datore di lavoro di conoscere, sia pure a mezzo di un medico designato le condizioni di salute dei lavoratori. Nella specie il C.d.S., in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato legittimo il provvedimento con cui l’Inail aveva negato al datore di lavoro richiedente l’accesso alla documentazione clinica relativa agli accertamenti sanitari ordinati dall’ente, al dipendente del datore di lavoro che aveva denunciato la malattia professionale contratta sul lavoro) (Consiglio Stato sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 59, Riv. infort. e mal. prof. 1999,II, 27 nota (PONE)

In senso contrario, tuttavia, si afferma, anche tenendo conto di analoghe pronunce del Garante dei dati personali, che l’applicabilita’ della l. 31 dicembre 1996 n. 675 non comporta un regime di assoluta riservatezza dei dati sensibili in possesso dell’amministrazione, dovendosi verificare caso per caso se sussistono altri diritti o interessi, meritevoli di pari o superiore tutela (Consiglio Stato sez. V, 2 dicembre 1998, n. 1725, Giur. it. 1999, 857).

In questa stessa cornice, poi, si qualifica infondata la pretesa dell’amministrazione di esibire il documento richiesto con "omissis" in asserito adempimento della disciplina in tema di tutela dei dati personali, considerato che la l. 31 dicembre 1996 n. 675 ha fatto espressamente salve le vigenti leggi in materia di accesso ai documenti amministrativi e che, in generale, l’applicazione della legge sulla "privacy" non comporta un regime di assoluta riservatezza dei dati, dovendosi verificare caso per caso se sussistano altri interessi meritevoli di pari o superiore tutela (Consiglio Stato sez. IV, 27 agosto 1998, n. 1137, Giur. it. 1999, 647 Giust. civ. 1999, I, 606).

La prevalenza del diritto di accesso sulla contrapposta esigenza di protezione dei dati sensibili era stata affermata, poi, dalla decisione del TAR Abruzzo, sezione di Pescara 5 dicembre 1997, n. 681 (Foro it. 1998, III, 84), riformata dalla decisione n. 59/1997 del Consiglio di Stato, citata in precedenza.

La dottrina esprime al riguardo un ventaglio di posizioni differenziate. Fra queste si segnala l’opinione di chi (TROIANO) afferma la sostanziale prevalenza della disciplina in materia di accesso, già prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 135/1999, in base a due argomenti:

a) la normativa concernente l’accesso ai documenti rappresenta un regime speciale rispetto a quello racchiuso nella legge n. 675/1996;

b) la disciplina relativa all’accesso soddisfa comunque le condizioni previste dall’articolo 22 della legge n. 675/1996 (anche nella versione più rigorose precedente l’intervento del decreto legislativo n. 135/1999), in quanto l’accesso ai documenti contenenti dati sensibili configura un’ipotesi di trattamento dei dati da parte dei soggetti pubblici autorizzato da espressa disposizione di legge, nella quale sono specificati "i dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite.

Secondo altra parte della dottrina (CARINGELLA), poi, andrebbe considerato il rischio che le amministrazioni utilizzino strumentalmente l’argomento della tutela della privacy allo scopo di limitare l’operatività del principio di trasparenza.

9. Il regime dei dati sensibili ed il decreto legislativo n. 135/1999.
L’individuazione delle finalità di rilevante interesse pubblico e le forme di trattamento consentite.

Una parte notevole delle incertezze interpretative in ordine alla complessiva attività di trattamento dei dati sensibili svolta dai soggetti pubblici risulta ora superata in virtù del decreto legislativo n. 135/1999, il quale ha modificato l’articolo 22 della legge n. 675/1996 ed ha individuato una serie amplissima di finalità di rilevante interesse pubblico.

Ora, secondo il vigente testo dell’articolo 22, commi 3 e 3-bis, "il trattamento dei dati indicati al comma 1 da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge, nella quale siano specificati i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite. In mancanza di espressa disposizione di legge, e fuori dai casi previsti dai decreti legislativi di modificazione ed integrazione della presente legge, emanati in attuazione della legge 31 dicembre 1996, n. 676, i soggetti pubblici possono richiedere al Garante, nelle more della specificazione legislativa, l’individuazione delle attività, tra quelle demandate ai medesimi soggetti dalla legge, che perseguono rilevanti finalità di interesse pubblico e per le quali è conseguentemente autorizzato, ai sensi del comma 2, il trattamento dei dati indicati al comma 1.

3-bis. Nei casi in cui è specificata, a norma del comma 3, la finalità di rilevante interesse pubblico, ma non sono specificati i tipi di dati e le operazioni eseguibili, i soggetti pubblici, in applicazione di quanto previsto dalla presente legge e dai decreti legislativi di attuazione della legge 31 dicembre 1996, n. 676, in materia di dati sensibili, identificano e rendono pubblici, secondo i rispettivi ordinamenti, i tipi di dati e di operazioni strettamente pertinenti e necessari in relazione alle finalità perseguite nei singoli casi, aggiornando tale identificazione periodicamente".

La disciplina di rango legislativo risulta poi completata dal Provvedimento del Garante 13 gennaio 2000, recante "Individuazione di attività che perseguono rilevanti finalità di interesse pubblico per le quali è autorizzato il trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici (Provvedimento n. 1/P/2000)".

In tal modo, considerando anche le autorizzazioni generali rilasciate annualmente, di fatto, risultano legittimate le attività di trattamento relative alle funzioni istituzionali dei soggetti pubblici e viene ad esistenza quella espressa disposizione necessaria per consentire l’accesso ai documenti, secondo la giurisprudenza citata in precedenza.

In tal senso, assume particolare importanza la disciplina racchiusa nell’articolo 16 del decreto legislativo, rubricato " attività sanzionatorie e di predisposizione di elementi di tutela in sede amministrativa o giurisdizionale". Secondo tale disposizione:

"1. Ai sensi dell’articolo 1, si considerano di rilevante interesse pubblico i trattamenti di dati:

a) volti all’applicazione delle norme in materia di sanzioni amministrative e ricorsi;

b) necessari per far valere il diritto di difesa in sede amministrativa o giudiziaria, anche da parte di un terzo, o per ciò che attiene alla riparazione di un errore giudiziario o di un’ingiusta restrizione della libertà personale;

c) effettuati in conformità alle leggi e ai regolamenti per l’applicazione della disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi.

2. Quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se il diritto da far valere o difendere, di cui alla lettera b) del comma 1, è di rango almeno pari a quello dell’interessato."

La disposizione avvalora la tesi secondo cui anche i dati sensibili sono assoggettati ai principi generali in materia di accesso ai documenti amministrativi. La conoscibilità non può ritenersi esclusa a priori, ma resta sottoposta ai limiti generali elaborati dalla giurisprudenza.

Nel disegno della nuova normativa, peraltro, il riferimento alla finalità di rilevante interesse pubblico non pare di per sé sufficiente a legittimare ogni forma di trattamento e l’ostensione dei documenti contenenti dati sensibili. È necessaria anche una specificazione, da parte dell’amministrazione, dei tipi di dati sensibili trattabili.

A tale scopo, le particolari normative di settore in materia di accesso ai documenti risultano idonee allo scopo indicato dalla legge. Detta disciplina, infatti, indica con chiarezza il tipo di trattamento considerato (comunicazione e diffusione) e, attraverso l’elencazione dei casi di esclusione, individua anche i tipi di dati sensibili assoggettati all’accesso. Si potrebbe obiettare che, a stretto rigore, la legge n. 675/1996 esige l’indicazione "positiva" dei dati sensibili trattabili, mentre i regolamenti attuativi della legge n. 241/1990 prevedono limiti "negativi" alla accessibilità. Tuttavia, mediante un accurato coordinamento tra i due microsistemi normativi, sembra preferibile ritenere che i regolamenti in materia di accesso, nella parte in cui disciplinano i casi di esclusione dall’accesso per motivi inerenti alla riservatezza soddisfano, di regola, il requisito previsto dall’articolo 22, comma 3-bis.

Per quanto riguarda i dati inerenti la salute e la vita sessuale, poi, la norma impone un ulteriore limite, più restrittivo, riguardante il "rango" del diritto da far valere o difendere, il quale deve essere di rango almeno equivalente a quello del titolare del diritto alla privacy.

Detta disposizione compie un riferimento espresso al solo caso di cui alla lettera b) della stessa norma, in tema di contenzioso e di difesa in giudizio. Tuttavia, esigenze di coerenza dell’assetto complessivo della materia inducono a ritenere che il principio assume una portata più ampia, operando anche nell’ambito delle richieste di accesso ai documenti.

Ne deriva la codificazione del principio di bilanciamento tra la posizione giuridica fatta valere attraverso l’accesso e quella tutelata mediante la riservatezza. Il puntuale riferimento al "diritto" fatto valere potrebbe suggerire l’inidoneità dell’interesse legittimo a giustificare l’accoglimento della pretesa di accesso. Da qui si prospettano delicati interrogativi in ordine alla soluzione di vari casi concreti. Si pensi alle ipotesi delle procedure concorsuali, in cui vengono accordate precedenze o preferenze ai candidati affetti da patologie proprie o dei familiari. Secondo l’impostazione tradizionale, il concorrente che intende contestare i risultati della selezione effettuata dall’amministrazione vanta solo posizioni di interesse legittimo. Ne conseguirebbe il carattere recessivo di tale situazione giuridica a fronte della riservatezza sanitaria e la inaccessibilità della relativa documentazione. Per evitare tale risultato, che sembra sacrificare in modo eccessivo il diritto di difesa di chi richiede l’accesso, potrebbe essere opportuno valutare la sostanza delle posizioni giuridiche in conflitto, viste nella loro complessiva dinamica. In base a queste coordinate interpretative, si potrebbe affermare, nell’esempio riportato, che l’interesse legittimo alla corretta valutazione dei titoli di preferenza afferenti ad un concorso per l’accesso all’impiego è strumentale, in ultima analisi, alla tutela di un diritto soggettivo di rango costituzionale (articoli 4 e 35e seguenti); per altro verso, il diritto alla privacy sanitaria si innesta in una procedura concorsuale e soggiace alle limitazioni inerenti alla sua concreta finalità riguardante la definizione della graduatoria della selezione.

Il criterio della valutazione comparativa delle posizioni in gioco, pur riferito espressamente ai soli dati sanitari, potrebbe rappresentare un criterio guida di portata più ampia, idoneo a risolvere il conflitto tra la pretesa all’accesso e la protezione dei dati sensibili, eventualmente in concorso con gli altri parametri elaborati dalla giurisprudenza.

In questo senso, peraltro, risulta opportuno analizzare a fondo il rapporto tra la previsione della lettera d) e quella della lettera b).
Secondo tale parte della disposizione, il trattamento dei dati sensibili è consentito, in relazione ai dati " necessari per far valere il diritto di difesa in sede amministrativa o giudiziaria, anche da parte di un terzo". La formulazione letterale della norma potrebbe essere interpretata nel senso che il diritto di difesa prevale incondizionatamente sulla esigenza di protezione dei dati sensibili (con limiti più rigorosi soltanto in relazione ai dati sanitari).

A ben vedere, la situazione di contenzioso (attuale o potenziale) costituisce solo uno dei presupposti indispensabili per ammettere il trattamento dei dati, ma non segna alcuna rigida preferenza per il diritto di difesa. Resta fermo, infatti, il limite della "necessità" (contemplato dalla stessa disposizione), insieme ai principi di pertinenza e di proporzionalità fissati dalla legge n. 675/1996 e già delineati dalla disciplina generale in materia di accesso.

Secondo il TAR Abruzzo, Sezione di Pescara 12 febbraio 2000, n. 103 (TAR 2000, 1957), nel nuovo sistema il trattamento dei dati sensibili (e la conseguente accessibilità) è consentito tutte le volte in cui sia necessario per la tutela di una situazione giuridica del richiedente, con la sola eccezione dei dati relativi allo stato di salute od alla vita sessuale dell’interessato.

Va osservato che, in tal modo, la decisione riconosce l’accessibilità ai documenti relativi ad una procedura concorsuale svolta dall’Ente poste s.p.a., nel quale (almeno stando alla lettura della motivazione) non sembrano coinvolte, in concreto, posizioni concernenti dati sensibili.

10. L’elaborazione della giurisprudenza amministrativa in materia di accesso: l’attività di diritto privato e la tutela processuale del soggetto cui si riferiscono i dati personali.

Pur mancando, al momento, interventi risolutivi dell’Adunanza Plenaria, la tematica del rapporto tra accesso e riservatezza risulta profondamente influenzata da due pronunce del massimo consesso della giustizia amministrativa, riguardanti:

a) l’estensione del diritto di accesso all’attività di diritto privato svolta dai gestori di pubblici servizi;

b) la tutela processuale del soggetto cui si riferisce il dato personale (non necessariamente sensibile) cui si riferisce la richiesta di accesso ai documenti.

La prima pronuncia si inserisce nel solco della progressiva espansione del principio di trasparenza amministrativo, ritenuto espressivo dei principi generali dell’attività amministrativa.

Il preciso riferimento giurisprudenziale all’attività di diritto privato, poi, apre una breccia significativa nei riguardi della pretesa alla riservatezza. Senza dire, poi, che la decisione dell’Adunanza plenaria, riguardando l’accessibilità agli atti di una procedura concorsuale svolta da società di diritto privato, afferma proprio la regola della prevalenza dell’accesso anche quando vengono in rilievo dati personali relativi ad altri soggetti determinati o determinabili.

Secondo tale decisione, hanno rilievo pubblicistico prevalente rispetto a quello imprenditoriale gli atti posti in essere dal soggetto gestore di servizio pubblico (nella specie, Soc. Ferrovie dello Stato) nel procedimento di natura comparativa con criteri precostituiti per la selezione del personale piu’ meritevole e per organizzare con efficacia il servizio (Consiglio Stato a. plen., 22 aprile 1999, n. 4). La pronuncia afferma che nche l’attivita’ degli enti pubblici economici e dei gestori di pubblici servizi, quando si manifesta nella gestione di interessi pubblici, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 97 cost., essendo svolta, pur se sottoposta di regola al diritto comune, oltre che nell’interesse proprio, anche per soddisfare quelli della collettivita’; pertanto, i relativi atti sono soggetti all’accesso ai sensi dell’art. 23 l. 7 agosto 1990 n. 241.

La seconda sentenza, invece, mette in luce l’autonoma rilevanza sostanziale della posizione del soggetto cui si riferiscono i dati personali oggetto della richiesta di accesso ai documenti, qualificato come controinteressato in senso tecnico del ricorso proposto contro la determinazione reiettiva della richiesta di accesso ai documenti.

Vanno considerati come controinteressati i soggetti determinati cui si riferiscono i documenti richiesti con la domanda di accesso; pertanto chi ricorre al giudice amministrativo ex art. 25 l. 7 agosto 1990 n. 241 per accedere a documenti amministrativi, che coinvolgono aspetti di riservatezza di un altro soggetto, e’ sottoposto alla disciplina generale del processo amministrativo e deve notificare al controinteressato il ricorso, ai sensi dell’art. 21 comma 1 l. Tar.

In materia di accesso ai documenti amministrativi regolato dagli art. 22 – 25 l. 7 agosto 1990 n. 241, il termine "diritto" va considerato atecnico, essendo ravvisabile la posizione di interesse legittimo quando il provvedimento amministrativo e’ impugnabile, come nel caso del "diritto" di accesso, entro un termine perentorio, pure se incidente su posizioni che nel linguaggio comune sono piu’ spesso definite come di "diritto" (Consiglio Stato a. plen., 24 giugno 1999, n. 16).

11. La tutela procedimentale della riservatezza.
Il pieno riconoscimento della posizione soggettiva del titolare del diritto alla riservatezza ha assunto, di recente, ulteriori sviluppi, riguardanti la predisposizione di efficaci strumenti di tutela procedimentale preventiva.

Alcune amministrazioni (fra le quali si segnala l’INAIL), particolarmente attente al contemperamento tra le diverse posizioni in conflitto, anche al fine di ridurre il contenzioso ed i rischi di responsabilità incrociate nei confronti dei soggetti coinvolti della richiesta di accesso, hanno adottato regolamenti (od avviato prassi operative) articolate nei seguenti passaggi.

I) La richiesta di accesso relativa a dati personali di terzi viene tempestivamente comunicata al soggetto interessato.

II) Si apre una fase in contraddittorio, nel corso della quale le parti enunciano le ragioni a sostegno della pretesa di accesso e di quella alla riservatezza.

III) In mancanza di una soluzione concordata, l’eventuale accoglimento della richiesta di accesso è formalmente comunicato al titolare del dato personale.

IV) L’esecuzione della determinazione di accoglimento è differita alla scadenza del termine per la proposizione del ricorso davanti al TAR.

V) In caso di ricorso, l’accesso viene comunque differito fino alla decisione del tribunale.

Si tratta di un orientamento garantista, che anticipa opportunamente la tutela del titolare del diritto di accesso al momento procedimentale. Secondo la dottrina, poi, le disposizioni regolamentari esprimono principi di carattere generale, suscettibili di immediata applicazione, anche in mancanza di specifica previsione.

12. La casistica giurisprudenziale. la tutela della privacy e le specifiche discipline di settore.
La giurisprudenza ha esaminato innumerevoli ipotesi di conflitto tra pretesa all’accesso e diritto alla privacy.

In alcuni casi, la soluzione si è basata sulla corretta valorizzazione della speciale normativa di settore e della particolare ratio che la ispira.

In questo senso, si è affermato che non sussiste "il diritto di accesso al certificato di assistenza al parto da parte di un soggetto adottato che intenda conoscere l’identita’ della propria madre naturale per ragioni di salute e’ escluso sulla base dell’art. 24 comma 1 l. 7 agosto 1990 n. 241, in quanto sussiste il diritto all’anonimato della madre naturale previsto nell’art. 70 r.d. 9 luglio 1939 n. 1238, che il legislatore ha considerato prevalente nonostante la ricorrente vanti un interesse giuridicamente rilevante quale quello alla salute (T.A.R. Lazio sez. III, 17 luglio 1998, n. 1854, T.A.R. 1999, II, 357 nota (MASSIDDA).

Ritenuto che sulla richiesta avanzata dall’adottato, minorenne o maggiorenne, di accedere agli atti, ai documenti ed ai dati contenuti nel fascicolo del procedimento della propria adozione, e’ competente a decidere il tribunale dei minori, e ritenuto altresi’ che all’adottato maggiorenne puo’ essere consentito di apprendere la propria identita’ biologica solo in presenza di certi gravi motivi esistenziali, mentre all’adottato minorenne la stessa cosa puo’ essere consentita solo in caso di motivi certi, seri e di eccezionale gravita’, deve essere, pero’, sempre respinta, perche’ inammissibile ed infondata, la richiesta dell’adottato di accedere agli atti, ai documenti ed alle cartelle cliniche di un’amministrazione ospedaliera allo scopo dichiarato di pervenire all’identificazione della propria madre di sangue: la richiesta e la finalita’ perseguita violano, invero, gli art. 24 e 25 l. 7 agosto 1990 n. 241 sulla tutela dell’altrui riservatezza in caso di accesso a documenti amministrativi, nonche’ il diritto della partoriente di conservare l’anonimato e di non procedere al riconoscimento del nato (Tribunale minorenni Perugia, 19 luglio 1999, Dir. famiglia 1999, 1260).

13. Le procedure e gli elaborati concorsuali.

Con riferimento agli elaborati concorsuali, l’indirizzo della giurisprudenza amministrativa è ormai stabilmente attestato nel senso che la pretesa all’accesso prevale sull’esigenza di riservatezza degli altri concorrenti.

La precedente tesi restrittiva faceva leva non tanto sul diritto degli altri partecipanti (come suggerito da alcuni pareri della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi), quanto sull’idea secondo cui il partecipante ad un concorso ad un pubblico impiego non ammesso alle prove orali, non ha un interesse giuridicamente rilevante che lo legittimi a chiedere l’accesso agli elaborati degli altri concorrenti, al fine di poter valutare la correttezza dei giudizi comparativi espressi dalla commissione giudicatrice, dal momento che questi non possono essere sindacati dal giudice amministrativo della legittimita’ (T.A.R. Lazio sez. I, 6 luglio 1994, n. 1078, Foro it. 1995, III, 388).

La tesi favorevole all’accesso, invece, sottolinea che gli elaborati destinati, per loro natura, al confronto con quelli di altri candidati, in un contesto di competizione concorsuale, che non si riduce al rapporto tra candidato e amministrazione, ma coinvolge anche gli altri candidati in un necessario giudizio di relazione, non possono essere considerati atti assoggettati alla tutela della riservatezza e della vita privata della persona, al fine di negare l’accesso ai documenti, ex art. 24 l. 7 agosto 1990 n. 241 (Consiglio Stato sez. IV, 13 gennaio 1995, n. 5, Foro amm. 1995, 26).

Il partecipante ad un concorso pubblico ha titolo ad accedere ai documenti della procedura concorsuale senza attendere la conclusione della medesima, senza bisogno, cioe’, che la lesione si faccia concreta e con essa l’interesse all’impugnazione diventi attuale, in quanto egli e’ comunque titolare di un interesse autonomo, sia pure strumentale, alla conoscenza dei predetti atti (Consiglio Stato sez. IV, 13 gennaio 1995, n. 5, Foro amm. 1995, 26).

Pertanto, è illegittimo il diniego opposto, per ragioni di tutela della riservatezza, alla richiesta di un candidato di prendere visione ed estrarre copia dell’elenco dei titoli presentati dai partecipanti ad un concorso pubblico (Consiglio Stato sez. VI, 13 settembre 1996, n. 1221, Studium Juris 1997, 95).

Il concorrente in una procedura concorsuale e’ legittimato a richiedere copia degli elaborati e dei titoli, propri di altri candidati, ai sensi dell’art. 22, l. 7 agosto 1990 n. 241, ne’ puo’ essergli opposto un rifiuto motivato con ragioni di riservatezza della sfera giuridica di altri candidati, posto che nella struttura del procedimento concorsuale sono coinvolte, nel necessario giudizio di comparazione, le situazioni di terzi: la riservatezza dei terzi non puo’ essere pregiudicata dalla visione dei titoli da essi prodotti, ne’, tantomeno, dal loro elenco. (Consiglio Stato sez. VI, 13 settembre 1996, n. 1221, Foro amm. 1996, 2662).

Più di recente, tuttavia, si è valorizzato il requisito della pertinenza tra la richiesta di accesso ed il tipo di informazione richiesto, proprio allo scopo di ridurre al minimo il rischio di arrecare pregiudizio all’interesse alla privacy.

Ne deriva che il diritto di accesso agli atti di una procedura selettiva per l’abilitazione forense va limitato, previa garanzia dell’anonimato degli autori degli scritti, ai soli elaborati svolti dagli altri candidati sulle medesime materie prescelte dal ricorrente, potendosi evidenziare una eventuale incongruente valutazione della commissione esaminatrice solo in relazione agli stessi temi (T.A.R. Toscana sez. I, 9 marzo 1999, n. 146, Foro amm. 1999, 2631).

Portando alle estreme conseguenze questo principio di stretta pertinenza tra la situazione giuridica tutelata mediante l’accesso ed il potenziale pregiudizio alla privacy, si è affermato che "ai sensi del combinato disposto degli art. 11 e 43 comma 2 l. 31 dicembre 1996 n. 675, e 22 ss. l. 7 agosto 1990 n. 241, e’ legittimo il diniego di accesso opposto al sindacato riguardo la graduatoria del concorso, considerato che la trasparenza dell’azione amministrativa incontra un limite nel diritto alla riservatezza dei terzi – espressamente tutelata nel bando – di talche’ l’interesse che giustifica la compressione del diritto alla riservatezza non puo’ coincidere con l’interesse che comunemente abilita all’esercizio del diritto di accesso, ma deve essere munito di connotati di maggiore qualificazione, consistenti nella necessita’ di prevenire o di reagire nelle sedi competenti alla lesione di una propria situazione giuridica soggettiva (T.A.R. Lombardia sez. II, Milano, 22 marzo 1999, n. 871, Foro amm. 1999, 2609).

In sintonia con gli indirizzi espressi dall’Adunanza Plenaria in materia di accessibilità agli atti di diritto privato (originati proprio dalla pretesa all’accesso agli atti di un concorso svolto dalla Ferrovie S.p.A.) la giurisprudenza ammette senza esitazioni l’accessibilità agli atti concernenti la selezione del personale (anche di massimo livello dirigenziale) effettuata da società formalmente private che gestiscono pubblici servizi.

E’ ammissibile, da parte di avvocato che abbia fatto domanda di assunzione come dirigente dell’ufficio legale dell’Acea, la richiesta di accesso diretta ad ottenere copia delle disposizioni che autorizzavano a procedere, nell’ambito della stessa Acea, all’assunzione dei nuovi dirigenti ovvero alla promozione di dirigenti interni, trattandosi di domanda di acquisizione di conoscenze non gia’ su un’attivita’ interna, gestionale o meramente attuativa, bensi’ su un’attivita’ della societa’ finalizzata a fissare criteri di ordine generale per selezionare il personale cui affidare responsabilita’ dirigenziale, e quindi di un’attivita’ esplicata proprio per la cura concreta di interessi generali essenziali per la vita dell’Ente (T.A.R. Lazio sez. II, 13 ottobre 1999, n. 1904, T.A.R. 1999, I, 4226).

14. L’accesso nelle procedure di selezione dei contraenti privati.
Molto ampia è l’elaborazione giurisprudenziale in materia di accesso e tutela della riservatezza commerciale nelle gare d’appalto. Il prevalente indirizzo interpretativo ammette l’accesso ai documenti, secondo le indicazioni elaborate dall’Adunanza Plenaria.

La ditta esclusa da una procedura concorsuale puo’ richiedere gli atti del procedimento di gara senza che possano esserle opposti motivi di riservatezza, atteso che, tra l’altro, una volta conclusasi la procedura concorsuale, i documenti prodotti dalle ditte partecipanti assumono rilevanza esterna (T.A.R. Lombardia sez. III, Milano, 27 settembre 1996, n. 1448 Giust. civ. 1997,I, 556 Riv. giur. edilizia 1997, I, 145). Nella specie, la ricorrente, avendo proposto ricorso avverso il provvedimento di esclusione dalla gara per anomalia dell’offerta, aveva richiesto, ai fini della propria tutela giurisdizionale, copia della documentazione di gara presentata dalle altre ditte concorrenti.

In sostanza, la decisione sembra affermare il principio secondo cui la riservatezza potrebbe giustificare, al massimo, soltanto il differimento dell’accesso.

Questa soluzione è in linea con un parere formulato dalla Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi (CADA), secondo cui "è ingiustificata la sottrazione all’accesso a tempo indeterminato dei documenti relativi a procedure di aggiudicazione o affidamento di lavori e forniture di beni e servizi, sotto il profilo della tutela della riservatezza delle ditte o imprese, essendo sufficiente il differimento fino all’esaurimento della procedura" (Pronuncia p95349R).

Un’altra pronuncia afferma, in modo ancora più perentorio, la prevalenza, pressoché assoluta, del diritto di accesso

E’ illegittimo il diniego di accesso ai documenti concernenti una gara di appalto di analogo oggetto affidato ad altro soggetto, al fine di salvaguardare il diritto alla riservatezza di quest’ultimo, in quanto la natura pubblica di uno dei contraenti rende il contratto e gli atti preparatori di per se’ suscettibili di interessi che travalicano quelli dei contraenti e, rientrando nell’attivita’ tipica dell’amministrazione, sono suscettibili di divenire di dominio pubblico (T.A.R. Sardegna 24 ottobre 1995, n. 1683 T.A.R. 1995, I, 5057).

Si può notare che l’argomento è utilizzato per affermare la prevalenza sulla riservatezza, ma potrebbe valere anche per affermare l’accessibilità agli atti di diritto privato.

La richiesta di accedere ai progetti di gestione presentati a corredo delle offerte delle imprese partecipanti ad una gara, coinvolgendo gli interessi imprenditoriali delle stesse, comporta l’applicazione del principio secondo il quale, quando la documentazione amministrativa cui sia richiesto l’accesso riguardi soggetti terzi, implicandone il diritto alla riservatezza con riferimento agli interessi epistolari, sanitari, professionali, finanziari, industriali e commerciali (per il quale spetta all’amministrazione l’apprezzamento di adeguate misure di tutela), i soggetti predetti sono controinteressati nei giudizi instaurati ai sensi dell’art. 25 l. 7 agosto 1990 n. 241 (Consiglio Stato sez. V, 5 maggio 1999, n. 518).

In senso analogo, si è affermato che "è illegittimo il silenzio rifiuto serbato sulle richieste di accesso ai documenti relativi alla procedura di selezione dei soggetti da invitare ad una successiva gara di appalto (nella specie, avente ad oggetto una campagna di comunicazione multimediale contro la tossicodipendenza) poiche’ non si rientra in alcuno dei casi stabiliti dall’art. 24 comma 2 lett. d), l. 7 agosto 1990 n. 241 posto che e’ sufficiente esibire i verbali della commissione che ha valutato l’idoneita’ dei soggetti, i criteri seguiti, i punteggi attribuiti e la documentazione di corredo non attinente a profili di riservatezza (cosi’, ad esempio, i bilanci delle societa’ e gli altri documenti sottoposti ad un regime di pubblicita’); ne’ deve ritenersi che sia necessaria l’attivazione di un giudizio volto a tutelare l’interesse affermato per potersi avvalere degli strumenti previsti dall’art. 22 l. n. 241 del 1990, ed infine, considerato che si tratta, nella specie, di verificare se i criteri di scelta e la loro applicazione sia stata imparziale senza bisogno di entrare nel merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione" (T.A.R. Lazio sez. I, 9 marzo 1995, n. 412).

Ancora, nella stessa direzione, si afferma, senza particolari esitazioni, che "l’impresa partecipante ad una gara per l’aggiudicazione di un contratto della p.a. ha diritto di accesso a tutti gli atti del fascicolo del relativo procedimento (TAR Lazio, Latina, 1 febbraio 2000, n. 46).

Un altro indirizzo, invece, cerca di individuare un diverso punto di equilibrio tra le contrapposte pretese delle parti interessate. Il risultato è raggiunto attraverso una soluzione sostanzialmente coincidente con quella poi seguita, in termini più generali, dall’Adunaza Plenaria, incentrata sulla limitazione oggettiva e sulle modalità di accesso.

Il diritto di accesso dell’impresa partecipante a un appalto concorso, in ordine agli elaborati progettuali depositati agli atti di gara da un’altra ditta offerente, puo’ riconoscersi limitatamente all’esigenza del richiedente di curare e difendere i suoi interessi giuridici, giusta la deroga al limite della riservatezza degli atti previsto dal comma ult. art. 8, D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, e, pertanto, limitatamente agli atti progettuali della ditte meglio collocate nella graduatoria finale, e solo nei modi della visione degli atti, senza facolta’ di estrazione di copia ((T.A.R. Campania sez. I, Napoli, 7 giugno 1996, n. 276, Foro amm. 1997, 572).

L’idea di fondo è quella secondo cui l’estrazione di copia determina, in sostanza, un maggiore pericolo in ordine alla divulgazione dei dati.

Nello stesso senso, si afferma che legittimamente l’amministrazione comunale tutela la riservatezza dell’impresa aggiudicataria non rilasciando a terzi il progetto tecnico risultato vincente in una gara, ma consentendone la sola visione ai soggetti che debbono tutelare i propri contrapposti interessi giuridicamente rilevanti (TAR Veneto, 1 luglio 1997, n. 1084). Secondo la pronuncia, le conoscenze che, nell’ambito della tecnica industriale sono richieste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia, ove presentino il carattere della novità e della segretezza, assumono rilievo come autonomo elemento patrimoniale suscettibile di utilizzazione economica da parte del possessore, anche se derivino da ideazioni minori non costituenti vere e proprie invenzioni brevettabili (cosiddetto know-how).

In una prospettiva di carattere più generale, si deve osservare che il principio di congruenza e di pertinenza rappresenta il criterio guida per segnare il giusto punto di equilibrio tra pretesa all’accesso ai documenti amministrativi e protezione dell’interesse alla riservatezza delle imprese.

In tal senso, si è chiarito, con specifico riferimento ad un procedimento di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che possono essere oggetto di accesso solo i documenti e le informazioni contenute in atti esibiti dalle imprese e che siano rilevanti ai fini della decisione assunta dall’Ente (Tar Lazio, I, 25 marzo 2000, n. 2281, TAR, 200, 2271). In applicazione di tale principio è stato ritenuto legittimo il rifiuto opposto alla richiesta di visione della documentazione inerente al prezzo di cessione di quote azionarie, considerando che tali dati non avevano assunto rilievo ai fini della decisione finale dell’Autorità.

15. (segue) Le gare d’appalto: La conciliazione tra riservatezza ed accesso in alcuni regolamenti ministeriali.

Il problema della riservatezza delle ditte partecipanti alle gare è stato affrontato anche da qualche regolamento ministeriale. Si segnala, al riguardo, il decreto del Ministero della sanità 31 luglio 1997, n. 353, il quale, all’art. 3 (Categorie di documenti inaccessibili per motivi di riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese) stabilisce che :"ai sensi dell’articolo 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché dell’articolo 8, comma 5, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352, ed in relazione all’esigenza di salvaguardare la riservatezza di persone, gruppi e imprese, salva per costoro la garanzia della visione degli atti dei procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per la difesa dei loro interessi giuridici, sono sottratte all’accesso le seguenti categorie di documenti, qualora riguardino soggetti diversi da chi richiede l’accesso:

n) documenti relativi a procedure concorsuali per l’aggiudicazione di lavori e forniture di beni e servizi, nonché atti che possano pregiudicare la sfera di riservatezza della impresa o ente in ordine ai propri interessi professionali, finanziari, industriali e commerciali. Per una adeguata tutela degli interessi richiamati, l’accesso è consentito mediante estratto esclusivamente per le notizie riguardanti la stessa impresa od ente richiedente.

A conclusione delle procedure suddette è consentito l’accesso ai documenti nel rispetto di quanto stabilito dalla successiva lettera o)".

La lettera richiamata concerne la "documentazione relativa all’attività di studio, professionale, industriale (ivi incluse le fasi di analisi, ricerca, sperimentazione e produzione), nonché alla situazione finanziaria, economica e patrimoniale di persone, gruppi e imprese comunque utilizzata ai fini dell’attività amministrativa".

Si tratta di una disposizione molto chiara nel prevedere il differimento automatico dell’accesso. A conclusione del procedimento, peraltro, l’accessibilità è consentita attraverso il bilanciamento tra riservatezza e tutela della situazione dell’interessato.

Analogamente, altri regolamenti stabiliscono che "nei procedimenti relativi all’effettuazione di opere, lavori e forniture, l’accesso agli atti e documenti riguardanti progetti di massima presentati da imprese e/o professionisti nonché preventivi e offerte in occasione di appalti, licitazioni private, trattative private o ricerche di mercato è differito sino al formale affidamento della realizzazione dell’opera o della effettuazione della fornitura. L’inosservanza del divieto, restando impregiudicate le eventuali sanzioni penali, comporta l’annullamento della gara" (Art. 6, comma 2, lettera d) del Regolamento dell’Università di Perugia).

Altri regolamenti prevedono una disciplina ancora più rigorosa nel senso della tutela delle imprese partecipanti alle gare, prevedendo l’esclusione dall’accesso dei "documenti relativi a gare per l’aggiudicazione di lavori e forniture di beni e servizi, che possano pregiudicare la sfera di riservatezza dell’impresa in ordine ai propri interessi professionali, finanziari, industriali e commerciali; per un’adeguata tutela degli interessi richiamati, l’accesso è consentito mediante estratto dei verbali di gara esclusivamente per le notizie riguardanti la stessa impresa richiedente, l’elenco delle ditte invitate e le relative offerte economiche, l’indicazione della ditta aggiudicataria e la motivazione della aggiudicazione. Al fine di salvaguardare il corretto ed imparziale svolgimento delle operazioni di gara, l’accesso ai relativi documenti è differito al momento della comunicazione dell’aggiudicazione, salvo i casi di pubblicità per legge degli atti infraprocedimentali" (Art. 16, comma 2, lettera c) del Regolamento dell’Università della Calabria in Cosenza, p. 269).

Secondo la Commissione per l’accesso (CADA), istituita presso la Presidenza del Consiglio, in attuazione della legge n. 241/1990, quindi, non si giustifica l’esclusione dall’accesso agli atti di acquisto di immobili e servizi, quando, per tutelare l’interesse pubblico, è sufficiente il differimento dell’accesso alla conclusione del procedimento.

Inoltre, a giudizio della CADA, in termini più generali, non si giustifica l’inaccessibilità della documentazione relativa alla situazione finanziaria, economica e patrimoniale delle imprese in quanto, in tale ipotesi, non è ravvisabile l’esigenza di tutela della riservatezza di cui all’articolo 24, comma 2, lettera d) della legge n. 241/1990.

La CADA ritiene che gli atti, i verbali e le proposte delle commissioni aventi il compito di prendere in esame le domande di partecipazione alle gare per l’acquisto di beni o per l’espletamento di servizi o per l’esecuzione di lavori pubblici sono assoggettabili soltanto al differimento.

La commissione prende in considerazione le ipotesi in cui l’appalto ha per oggetto particolari beni, protetti da diritti di brevetto o di privativa industriale: in tal caso l’inaccessibilità va affermata anche in mancanza di espresse previsioni regolamentari. In analoghe fattispecie, si è evidenziato che "i materiali (quali i visori notturni, strumenti di puntamento laser, i telemetri, le apparecchiature antisabotaggio) altamente sofisticati e protetti da privative industriali, necessari per particolari e delicati servizi dei reparti speciali , sono inaccessibili per evidenti motivi di sicurezza.

Analogamente, in alcuni regolamenti si prevede l’esclusione dall’accesso dei "contratti soggetti a classifica di segretezza per la protezione e per la sicurezza dello Stato" (Art. 1, comma 1, lettera f) del regolamento del Ministero delle Poste (D.M. 10 aprile 1996, n. 296), o dei "documenti relativi alla fornitura o sperimentazione di beni e servizi considerati di carattere strategico" (Art. 2, comma 1, lettera c) D.M. Finanze 29 ottobre 1996, n. 603).

16. La selezione dell’interesse all’accesso: il principio di pertinenza e di proporzionalità.

Diverse pronunce si preoccupano di individuare, con la massima attenzione, il requisito dell’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi. Il presupposto fattuale che legittima all’esercizio dell’accesso è generalmente collegato alla partecipazione alla gara.

In questa prospettiva, si è chiarito che "ai sensi dell’art. 25, l. 7 agosto 1990 n. 241, e dell’art. 12, d.p.r. 27 giugno 1992 n. 352, sussiste il diritto della concorrente alla gara di appalto ad accedere ed ottenere copia degli atti relativi alla procedura di verifica delle offerte anomale presentate per la gara stessa e di ogni altro documento (T.A.R. Lombardia sez. III, Milano, 29 giugno 1996, n. 892, Foro amm. 1997, 524). Nella specie, la ricorrente aveva presentato un’offerta risultata prima fra quelle non anomale, mentre l’appalto era stato aggiudicato ad altra concorrente, la cui offerta anomala aveva positivamente superato la verifica.

Lo stretto collegamento con l’iter procedimentale comporta l’ovvia conseguenza che "il concorrente legittimamente escluso da una gara non gode del diritto di accesso ai documenti del procedimento concorsuale successivi alla sua esclusione, salvo che non contesti l’esclusione stessa" (T.A.R. Lombardia sez. Brescia, 30 maggio 1995, n. 534 Foro amm. 1995,2755).

Pertanto, nel caso in cui, in sede di gara per il reperimento di locali da assumere in locazione per uso uffici e archivi pubblici, l’Amministrazione abbia scartato una ditta concorrente per avere presentato un certificato di destinazione urbanistica non rispondente all’uso richiesto, è legittima la limitazione posta dall’amministrazione stessa alla domanda di accesso agli atti avanzata dalla ditta medesima, nel senso di non consentire la visione degli atti riservati relativi ad altri soggetti, a tutela della riservatezza dei medesimi e tenuto conto della concreta esclusione della ditta richiedente dalla procedura selettiva (Tar Lazio, II, 12 aprile 2000, n. 3078, TAR, 2000, 2317).

In senso analogo si è ritenuta infondata la domanda di accesso presentata da un imprenditore rimasto escluso da una gara con provvedimento definitivo non impugnato nei termin (Tar Sicilia, Catania, 11 febbraio 1993, Giur. Amm. Sic. 1993, 188).

Recentemente, si è ritenuto che l’impresa che partecipa ad una gara pubblica per l’aggiudicazione di un contratto non ha diritto di prendere visione degli atti di precedenti gare esperite dalla stessa amministrazione, stante l’autonomia delle diverse procedure, con la conseguenza che la legittimità o l’illegittimità di un provvedimento non può essere desunto dal comportamento tenuto dall’amministrazione in un procedimento differente e dalle valutazioni ivi espresse (Cons. Stato, VI, 30 settembre 1998, n. 1345).

17. L’accesso ai documenti relativi alle procedure concorsuali ad opera dei soggetti terzi.
Si esclude, quindi, la legittimazione dei soggetti terzi, non partecipanti alla procedura. Sono titolari di posizioni giuridicamente qualificate ad ottenere l’ostensione degli atti di aggiudicazione di un appalto soltanto i partecipanti alla gara medesima, mentre i cittadini che assumono di essere danneggiati dai lavori oggetto dell’appalto non vantano che una generica posizione di interesse di fatto, priva di qualsiasi rilevanza giuridica, in quanto destinatari indiretti e finali dell’oggetto e dell’attivita’, ma non mai degli atti, alla luce dell’art. 25 della l. 7 agosto 1990 n. 241, nel quale si stabilisce che il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta solo a chi dimostri di poter tutelare un proprio interesse personale e diretto attraverso la conoscenza degli atti di cui chiede l’esibizione (T.A.R. Veneto sez. II, 4 agosto 1994, n. 673 Giust. civ. 1994, I, 2680).

Resta però da chiedersi se questa tesi non debba essere rivista, alla luce della disciplina contenuta:

a) nell’art. 7 della legge n. 142/1990, che, con riferimento agli atti degli enti locali, sembra prevedere una legittimazione attiva più ampia, riconosciuta a tutti i cittadini, indipendentemente dalla presenza di un interesse differenziato;

b) nel decreto legislativo n. 39/1997, riferito all’accesso in materia ambientale;

c) nella legge n. 281/1998, concernente il diritto di accesso alle informazioni delle associazioni dei consumatori e degli utenti.

Va ancora rilevato che, secondo la CADA, la legittimazione all’accesso ai documenti dell’amministrazione è riconosciuta a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti; pertanto appare illegittima la limitazione ai soggetti che hanno partecipato alle relative procedure (P96462R).

18. Legittimazione all’accesso e proposizione del ricorso.
Un’altra pronuncia ha poi sostenuto che il concorrente a pubblica gara che abbia proposto ricorso dinanzi al TAR avverso gli atti della gara stessa, non ha diritto a chiedere la visione degli atti della procedura concorsuale, non sussistendo l’interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti che costituisce, ai sensi della l. 7 agosto 1990 n. 241, il presupposto per l’accesso ai documenti ((T.A.R. Emilia R. sez. I, Bologna, 9 febbraio 1996, n. 83, T.A.R. 1996, I, 1370).

Tuttavia, la soluzione interpretativa pare in contrasto con l’indirizzo nettamente prevalente, in forza del quale la pendenza del ricorso giurisdizionale non limita in alcun modo la pretesa all’accesso (Consiglio Stato sez. IV, 9 luglio 1998, n. 1079, Cons. Stato 1998,I,1119). Né pare che la materia dei lavori pubblici possa giustificare un’applicazione diversificata della disciplina generale.

19. Gli esposti dei privati.
Una questione di un certo interesse riguarda l’accessibilità agli atti relativi ad esposti e denunce di soggetti privati da cui scaturiscono iniziative di controllo amministrativo.

Non sussistono seri dubbi sulla conoscibilità di tali documenti nelle ipotesi in cui venga avviato un procedimento sanzionatorio. In tal caso il diritto di accesso si riannoda direttamente al diritto di difesa dell’interessato, in conformità alle indicazioni recentemente espresse dalla Core Costituzionale (3 novembre 2000, n. 460).

Maggiori dubbi si pongono nelle ipotesi in cui l’esposto non determina l’avvio di un apposito procedimento repressivo o disciplinare nei confronti del richiedente. In tali circostanze si è dubitato che l’interesse al "riserbo" del denunciante possa prevalere sul contrapposto interesse di chi aspira alla conoscenza dei documenti amministrativi, posto che l’accesso non sembra arrecare apprezzabili utilità.

Secondo una prima tesi, il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto dalla l. 7 agosto 1990 n. 241 prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo ogni qualvolta l’accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente. Colui il quale subisca un procedimento di controllo o ispettivo ha interesse qualificato a conoscere tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti di iniziativa (domande e richieste da cui scaturisca un obbligo di provvedere) e di preiniziativa (esposti o denunce che attivino i procedimenti ufficiosi dell’Amministrazione) (Consiglio Stato sez. V, 22 giugno 1998, n. 923, Ragiusan 1998, f. 172, 24).

Il diritto alla riservatezza, che esprime un concetto diverso e non assimilabile a quello della segretezza degli atti, costituisce si’ un limite al diritto d’accesso ai documenti amministrativi – tant’e’ che il valore della protezione dei dati personali assume un rilievo di rango costituzionale e trova applicazione legislativa in molteplici direzioni (per esempio, la l. 31 dicembre 1996 n. 675) – , ma non trova una tutela incondizionata nell’art. 24 comma 2, l. 7 agosto 1990 n. 241, che’, anzi, tale disposizione stabilisce che dev’essere garantita agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici. Infatti, la riservatezza serve a fissare una parziale delimitazione dei soggetti abilitati a conoscere i dati, attraverso particolari modalita’ attuative e procedimentali idonee ad evitare la divulgazione delle notizie aldila’ della cerchia dei soggetti legittimati (nella specie, il soggetto che subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali denunce, esposti, ecc.).

In senso contrario, invece, si sostiene che è legittimo il diniego d’accesso all’esposto presentato da alcuni condomini per segnalare presunte irregolarita’ edilizie di un condomino in seguito al quale il comune dava corso agli accertamenti d’ufficio ed al provvedimento sanzionatorio (T.A.R. Lombardia sez. II, Milano, 2 ottobre 1998, n. 2281, Foro amm. 1999, 1818; poi confermata da Cons. Stato, V, 3 aprile 2000, n. 1916, che fa leva sull’asserita mancanza di interesse del richiedente ad ottenere la conoscenza di atti relativi ad un procedimento già esaurito senza pregiudizio effettivo).

20. IL SEGRETO INDUSTRIALE.
In altre ipotesi, la giurisprudenza amministrativa ha espressamente affrontato le diverse problematiche concernenti il rapporto tra il diritto di accesso e la tutela della riservatezza.

La tutela del segreto industriale puo’ essere coordinato con il diritto di accesso ex art. 22 l. 7 agosto 1990 n. 241 sulla scorta dell’art. 24 comma 1, lett. d), l. n. 241, cit., che consente al soggetto che abbia necessita’ dell’atto per difendere o curare il suo interesse giuridico di prendere mera visione del documento senza riceverne copia (T.A.R. Lazio sez. III, 7 agosto 1998, n. 1968, Foro amm. 1999,1320 (s.m.)

Colui che abita in prossimita’ di un insediamento produttivo e’ titolare dell’interesse qualificato ad ottenere informazioni sullo stato dell’aria circostante, sulle attivita’ potenzialmente nocive, sulla situazione ambientale e sulle misure di contrasto all’inquinamento eventualmente adottate, in quanto, prevalendo l’interesse alla tutela delle proprie posizioni soggettive su quello del terzo alla riservatezza, quest’ultima appunto recede di fronte ad un accesso esercitato come necessario mezzo di difesa dell’interesse medesimo (Consiglio Stato sez. V, 21 ottobre 1998, n. 1529, Foro amm. 1998,fasc. 10).

E’ legittimo il diniego opposto dal Ministero del lavoro all’accesso alla documentazione relativa ad un’ispezione straordinaria avviata a seguito di denuncia presentata dallo stesso istante a carico di una societa’ cooperativa nei confronti della quale ha in corso un contenzioso in sede civile e penale, essendo i verbali di ispezione alle societa’ cooperative sottratti all’accesso per 5 anni, ai sensi dell’art. 2 d.m. 4 novembre 1994 n. 757 (Consiglio Stato sez. VI, 10 marzo 1999, n. 279, Cons. Stato 1999, I, 452).

E’ precluso l’esercizio del diritto di accesso, ai sensi dell’art. 25, l. 7 agosto 1990 n. 241, agli atti ispettivi ministeriali, espletati nei confronti di un’impresa industriale, finche’ non siano intervenute le determinazioni amministrative conseguenti all’attivita’ di vigilanza, a tutela della riservatezza della vita delle imprese, allo scopo di non turbarne il normale funzionamento attraverso possibili strumentalizzazioni da parte di imprese concorrenti, secondo le prescrizioni del d.m. (del lavoro e della previdenza sociale) in data 4 novembre 1994 n. 757, art. 2 lett. f) (Consiglio Stato sez. VI, 10 marzo 1999, n. 279, Foro amm. 1999, 758).

Il divieto di accesso alla documentazione amministrativa consistente in documenti acquisiti dagli organi ispettivi del ministero del lavoro nel corso di attivita’ ispettive, in quanto ispirato a protezione della riservatezza di lavoratori e terzi, non e’ applicabile al caso in cui lo stesso lavoratore richieda copia delle dichiarazioni da lui rese nel corso del procedimento ispettivo (Consiglio Stato sez. VI, 22 novembre 1999, n. 1911, Foro amm. 1999, 2565).

21. i rapporti di lavoro (non privatizzati)
Il rapporto tra accesso e riservatezza è stato definito in alcune pronunce concernenti il lavoro non privatizzato. Pur non indicando espressamente la privacy come limite alla ostensibilità dei documenti, la giurisprudenza si è sforzata di individuare alcuni limiti desunti dalla particolare correlazione con l’interesse fatto valere. Ciò si riverbera, in particolare, sulla puntuale delimitazione della legittimazione attiva.

L’accesso agli atti con i quali l’amministrazione (nella specie la Consob) ha determinato la gratifica stipendiale erogata agli altri dipendenti, ex art. 96 reg. sul trattamento giuridico ed economico del personale, allo scopo di accertare la corrispondenza del trattamento riservato a questi ultimi rispetto alle determinazioni assunte nei confronti del richiedente, non puo’ essere riconosciuto, atteso che ai sensi dell’art. 96 cit., la gratifica di cui trattasi e’ liquidata non in via comparativa, ma secondo valutazioni individuali connesse al rendimento qualitativo e quantitativo di ciascun dipendente (Consiglio Stato sez. VI, 23 febbraio 1999, n. 193, Foro amm. 1999, 404).

22. il lavoro privatizzato
Con riguardo al lavoro privatizzato, l’orientamento favorevole alla sostanziale prevalenza dell’accesso ha superato, definitivamente, l’iniziale idea secondo cui i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, per la loro natura privata, sfuggirebbero all’applicazione della normativa in materia di accesso.

La contrattazione collettiva ex l. 23 ottobre 1992 n. 421 e d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29 non e’ riconducibile ad attivita’ amministrativa, bensi’ ad attivita’ di diritto privato della p.a., per la quale non e’ dato diritto di accesso (T.A.R. Toscana sez. I, 26 marzo 1998, n. 103, T.A.R. 1998,I,1927).

Infatti, in senso contrario, si evidenzia che il diritto di accesso non e’ escluso relativamente agli atti di gestione del personale dipendente da ente pubblico economico, anche se il rapporto d’impiego sia disciplinato in base a norme di diritto privato, qualora lo stesso ente ne precluda l’esercizio soltanto con riguardo agli atti afferenti la sfera privata individuale (Consiglio Stato sez. VI, 10 febbraio 1996, n. 184, Foro amm. 1996, 596).

23. LA materia sanitaria e I VERBALI degli ispettorati del lavoro in materia antinfortunistica.
Un interesse particolare assumono le decisioni concerneti l’accessibilità ai documenti contenenti dati sanitari, con specifico riferimento ai verbali degli ispettori dell’INAIL.

La tesi prevalente, anche prima dell’entrata in vigore della legge n. 675/1996 era essenzialmente negativa, ritenendosi prevalente l’interesse alla riservatezza.

E’ legittimo il diniego d’accesso alla documentazione attinente l’attivita’ di vigilanza svolta dall’ispettorato del lavoro, ai sensi dell’art. 24 l. 7 agosto 1990 n. 241, in quanto tale documentazione involge la riservatezza dei terzi (Consiglio Stato sez. VI, 19 novembre 1996, n. 1604, Giur. it. 1997,III,1, 249).

E’ legittimo il diniego di accesso alla documentazione amministrativa, opposto dall’Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro – Inail, nei confronti del datore di lavoro in sede di procedimento per il riconoscimento di malattia professionale di un dipendente, posto che il diritto alla riservatezza in materia sanitaria opera a favore del dipendente e importa l’esclusione dalla partecipazione al procedimento accertativo dello stato di malattia del dipendente stesso, del datore di lavoro che, mediante l’accesso, intende tutelare l’interesse patrimoniale alla integrita’ aziendale (Consiglio Stato sez. VI, 5 gennaio 1995, n. 12, Foro amm. 1995, 64 Cons. Stato 1995,I, 65).

E’ legittimo il diniego opposto alla richiesta di informazioni di carattere sanitario sui propri dipendenti, avanzata dal datore di lavoro, poiche’ il diritto alla riservatezza in materia non puo’ venire limitato dal diritto all’accesso, strumentale, nella fattispecie, al soddisfacimento di un interesse di natura esclusivamente economica (Consiglio Stato sez. VI, 15 aprile 1996, n. 563, Studium Juris 1997, 91).

In materia di accesso ai documenti, il diritto alla riservatezza del prestatore di lavoro sulle informazioni di carattere sanitario che lo riguardano, quale diritto della personalita’, assume una connotazione di immediata rilevanza sostanziale, mentre la cura e la difesa degli interessi giuridici, in quanto limite al precitato diritto va riguardato con specifico riferimento al contenuto dell’interesse concretamente fatto valere; pertanto, l’interesse del datore di lavoro all’aggiornamento dei dati epidemiologici ai fini della realizzazione dei programmi di prevenzione primaria in azienda e’ recessivo rispetto al diritto di riservatezza del prestatore di lavoro (T.A.R. Umbria 10 marzo 1995, n. 84, Rass. giur. umbra 1996, 201).

Meno rigido appare invece un diverso indirizzo, a mente del quale l’amministrazione sanitaria deve esaminare le richieste di accesso agli atti salvaguardando la riservatezza dei pazienti; tuttavia, deve consentire l’accesso agli atti posti a base di un provvedimento lesivo, sia pure limitandolo alle parti la cui esibizione non puo’ comportare lesioni alla riservatezza altrui (Consiglio Stato sez. V, 28 aprile 1995, n. 639, Giur. it. 1995,III,1, 521).

Se e’ vero che la materia sanitaria, in se’ considerata, e’ coperta dal diritto alla riservatezza, e’ pur vero che tale ampia tutela non e’ indiscriminata bensi’ si atteggia diversamente secondo il tipo di situazione; pertanto, il privato, nei confronti di un ente pubblico che esercita in via istituzionale funzioni sanitarie, ha sicuramente diritto a che la documentazione che lo riguarda direttamente non venga rilasciata a chiunque ne faccia richiesta, fermo restando che, nel caso in cui l’interesse sanitario costituisce proprio l’oggetto della pretesa vantata nei confronti del terzo, l’accesso non puo’ essere negato all’avente diritto, restando comunque precluso l’accesso ai documenti sanitari dell’interessato al resto della collettivita’ (T.A.R. Veneto 24 giugno 1995, n. 1021, T.A.R. 1995, I, 3687).

In tempi più recenti, si è riconosciuta la accessibilità anche a documenti relativi a dati sensibili sanitari, nel rispetto dei particolari procedimenti partecipativi previsti nell’ambito dell’attività istituzionale dell’INAIL (T.A.R. Lombardia, II, 23 giugno 2000, n. 4615, Giust. Amm. 0/2000, 42).

24. I documenti concernenti la graduazione degli sfratti.
Da ultimo, va considerata la giurisprudenza concernente l’accessibilità dei documenti relativi ai provvedimenti in materia di graduazione degli sfratti.

Una parte della giurisprudenza ritiene di valorizzare la tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti nella richiesta. Ai sensi dell’art. 24 comma 2 l. 7 agosto 1990 n. 241 e dell’art. 8 comma 5 d.P.R. 27 giugno 1992 n. 352, nonche’ dell’art. 4 del relativo regolamento attuativo del Ministero dell’interno, sussistono ragioni di tutela della riservatezza dei terzi tali da giustificare il diniego di accesso alla documentazione relativa alla graduazione degli sfratti, materia implicante profili attinenti alla vita privata dei soggetti di volta in volta interessati (Consiglio Stato sez. IV, 3 agosto 1995, n. 589, Giust. civ. 1996, I, 1522).

Secondo la pronuncia, il diritto di accesso ai verbali delle sedute della commissione consultiva prevista dall’art. 4 d.l. n. 551 del 1988 (conv. nella l. n. 61 del 1989), da parte del locatore di immobile urbano che, ottenuto il provvedimento di sfratto, sia da tempo in attesa della concessione della forza pubblica per la sua esecuzione, puo’ essere legittimamente limitato ai verbali (o alla parte dei verbali) delle sedute riguardanti la trattazione della domanda di concessione della forza pubblica presentata dallo stesso istante, con esclusione per ragioni di riservatezza di terzi, dei verbali riguardanti le domande di altri soggetti, ove l’istante non chiarisca la essenzialita’ dell’esame di quest’ultima documentazione per la tutela dei suoi diritti.

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