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Milano, tangenti sul caro estinto Otto ospedali nel mirino

MILANO Gli addetti delle camere mortuarie «più attivi e spregiudicati» arrivavano a incassare tangenti fino a 10 mila euro al mese. Emerge dall’indagine della polizia che ha portato all’arresto di 41 persone a Milano, più della metà «infermieri d’oro», mentre gli altri sono titolari o collaboratori di imprese di pompe funebri, cui venivano segnalati i decessi e «passati» i parenti per ottenere l’organizzazione dei funerali. Nell’inchiesta, dalla quale secondo le prime notizie non emergono coinvolgimenti di altri livelli delle strutture sanitarie, sono finiti alcuni dei principali ospedali della città: Pio Albergo Trivulzio, San Paolo, San Carlo, Sacco, Policlinico, San Giuseppe, Clinica Santa Rita, Niguarda. Le imprese di pompe funebri coinvolte sono 19, comprese molte delle più conosciute di Milano, di cui, per alcune, sono stati arrestati i titolari. Si tratta di Alcide Cerato, 69 anni, personaggio di spicco nella dirigenza del ciclismo italiano, e i figli Massimo e Andrea Cerato, titolari dell’impresa di onoranze funebri San Siro, Riccardo D’Antoni, titolare della Varesina, altra azienda del settore, e Vito Lo Verde, dipendente della stessa Varesina. L’operazione «caronte» Da quanto emerge dall’operazione della polizia chiamata «Caronte», coordinata dai procuratori di Milano Fabio Napoleone e Grazia Colacicco, con le ordinanze emesse dal gip Giuseppe Vanore, il «business» era perfettamente organizzato: le numerose imprese di pompe funebri erano divise in fasce orarie della giornata nelle quali dovevano essere contattate dagli infermieri corrotti. Gli infermieri che non rispettavano le direttive e magari cercavano tangenti più cospicue «venivano di fatto emarginati e – affermano gli investigatori – quando possibile allontanati dalle camere mortuarie». Esisteva di fatto anche un tariffario. Le imprese di pompe funebri, per ingraziarsi quello che si ritiene il miglior anello di congiunzione con le famiglie, riconoscevano una «mancia» tra i 30 e gli 80 euro all’addetto per la vestizione del deceduto, anche se si trattava di una sua mansione di servizio. A questo si aggiungevano dai 150 ai 250 euro se l’impresa otteneva l’incarico di fornire i servizi funebri. Qualche impresario, anche con schede telefoniche intestate a terze persone procurate dagli organizzatori del sistema, si spacciava invece per dipendente dell’ospedale e instaurava così il primo rapporto, spesso decisivo, con le famiglie. E c’è anche chi, come l’infermiere dell’Ospedale Niguarda Pietro Capitano che, parlando con la moglie al telefono si vanta: «Questa notte ne ho fatti due».  un giro di 150 mila euro al giorno Secondo gli investigatori, il sistema forniva tra i 10 e 15 mila euro al giorno agli addetti delle camere mortuarie, con costi evidentemente crescenti per le famiglie, fino al 30% in più secondo il Codacons, mentre il fatturato complessivo per le imprese è calcolato dalla polizia in «150 mila euro quotidiani». Nella maggior parte dei casi le accuse per gli arrestati sono associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione di segreti di ufficio. L’indagine è nata da un vecchio esposto di un’impresa di pompe funebri esclusa dal giro della corruzione e da una denuncia del maggio 2007 di un comitato di familiari di deceduti in ospedale. L’indagine del 1992 che diede il via a «mani pulite» con l’arresto di Mario Chiesa partì proprio da una sul «caro estinto» al Pio Albergo Trivulzio, mentre nel 1997 sempre a Milano vi fu un’inchiesta simile che coinvolse molte delle imprese ancora oggi sotto accusa. Nel 2004 la Polizia municipale indagò cinque impiegati comunali per reati analoghi. Le intercettazioni Tante le intercettazioni a disposizione degli inquirenti. «È deceduto un nostro caro stamattina e l’infermiere mi ha detto di contattare voi, caldeggiandovi come persone oneste e brave», dice il parente di un defunto, il 2 novembre 2007, a Gaspare Cusimano, legale rappresentante della Nuova San Giuseppe, agli arresti domiciliari. In un’altra telefonata registrata il 2 dicembre 2007 un infermiere dell’ospedale Niguarda, Pietro Capitano, parla con Roberto Cusimano, figlio di Gaspare, a cui fa capo appunto la Nuova San Giuseppe. Cusimano, annotano gli agenti, «si lamenta con lui perché quella mattina l’impresa Selmi ne aveva fatti due (morti, ndr) e lui nessuno e gli dice che deve imparare a usare il computer così riesce a dare i numeri di telefono giusti».

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