ROMA – Oltre 40 dollari sotto il picco storico dei 147,27 a barile toccato l`11 luglio scorso, cioè meno di due mesi fa. L`apertura di contrattazioni per il petrolio greggio a New York, ieri, ha acceso sugli schermi degli operatori la “modica“ (rispetto al recente passato) cifra di 107,12 dollari. In seguito si è mantenuta a lungo sotto la soglia dei 107 dollari, arrivando per un breve periodo anche sotto 106, quota inedita da aprile scorso, quando però il barile, lanciato a tutta velocità nel decollo verticale che l`avrebbe portato, poi, fino al record di luglio, l`aveva saltata in un baleno per arrampicarsi prima oltre 110, e poi sempre più su. Il ripiegamento di inizio settembre, marcato malgrado l`uragano Gustav e la relativa sospensione di attività sulle piattaforme al largo di California e Florida, senza peraltro poi l`esito di danni vistosi (ma evento che in altre circostanze ed altri tempi sarebbe bastato da solo a far lievitare il prezzo) coincide, si sa, con la flessione generalizzata delle attese di crescita delle maggiori economie mondiali, Europa e Usa in testa. Ed è dunque anche il sintomo di un grosso problema, la punta di un iceberg decisamente ingombrante. Che però, e non sembri un paradosso, proprio il raffreddamento del prezzo del petrolio può aiutare a cominciare a sciogliere. Dal barile sotto quota 100 (pronostico di pochissimi giorni fa del top manager di Eni, Scaroni) svariati analisti si attendono una spinta sensibile alla ripresa congiunturale. O, quanto meno, a una ripresina di fine anno che muova indici piatti, quando non negativi, come accade per la Ue e l`Italia. Il calo del petrolio rilancia, ovviamente, le attese (già vivacizzatesi nei giorni scorsi) di ribassi per i pezzi dei carburanti. Li chiedono a gran voce i consumatori e le loro sigle di tutela, che quantizzano in 6-8 cent, a seconda delle organizzazioni, il possibile décalage, basato sul confronto dei prezzi alla pompa attuali con quelli di inizio aprile, quando appunto il barile viaggiava sugli stessi livelli di ieri. Si tratta di un confronto comunque complesso, visto che nel gioco sia il taglio di 2 centesimi al litro deciso dal governo Prodi per calmierare il prezzo dei carburanti e in vigore cinque mesi fa, sia il diverso peso del dollaro, allora a 1,56 sull`euro. Ma che lo spazio per scendere ci sia, anche se non direttamente all`1,398 medio dell`11 aprile per le “verde“, appare ragionevole, considerati anche i “bonus“ accumulati dalle compagnie durante i mesi della folle corsa nel gioco dei rialzi a breve e dei ribassi a medio termine sul prezzo finale. “Non vi è alcun motivo per cui alla pompa il prezzo della benzina sta aumentando vertiginosamente, mentre il petrolio cala e si avvicina ai 100 dollari al barile – sostiene ad esempio il Codacons – Le Procure della Repubblica di tutta Italia, così come l`Antitrust, devono intervenire per capire cosa stia avvenendo e per tutelare gli automobilisti, già vessati da rincari speculativi d`autunno che si stanno registrando in tutti i settori“. E Federconsumatori parla di un sovrapprezzo “di 7-8 centesimi al litro, centesimi di euro che bastano per fare il pieno non di carburante, ma di guadagno da parte di chi opera nella filiera. Critiche che però l`Unione Petrolifera respinge, come di consueto, al mittente, negando ogni disequilibrio nei prezzi e chiamando in causa due fattori già citati: l`andamento dei mercati internazionali dei carburanti e il calo dell`euro sul dollaro. Nella propria replica l`Unione Petrolifera sostiene dunque che non c`è alcun sovrapprezzo sui listini alla pompa: “Il prezzo industriale della benzina si è mosso coerentemente con la discesa delle quotazioni del prodotto raffinato rilevate dal Platt`s e che nello stesso periodo lo stacco con la media europea si è praticamente dimezzato“, sostiene l`Up, per la quale “occorre tenere presente che le quotazioni del greggio scontano l`apprezzamento del dollaro nei confronti dell`euro che, rispetto ai valori di aprile, può essere stimato in 4 centesimi di euro a litro“.