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RAI: ANCHE LA CORTE DEI CONTI NE CERTIFICA LO SFASCIO!






?Troppi costi e canone elevato?: è il sunto della consueta radiografia operata dalla Corte dei Conti nella sua relazione sui controlli, effettuati sugli esercizi Rai nel quinquennio 1997-2001, dove si è registrato un “abnorme disallineamento“ tra l`andamento dei costi (+34,39%) e del fatturato (+8,83%). Nei 5 anni, il costo del lavoro è ammontato a circa 5 miliardi di euro (10.000 miliardi di vecchie lire), mentre il costo medio per unità di personale nel 2001 è stato di 120 milioni di vecchie lire (62.846euro) ed i costi di produzione sono stati di 8 miliardi di euro (16.000 miliardi di lire).

Per la magistratura contabile oggi la Rai è un`impresa a capitale pubblico operante sul mercato, che a differenza dei concorrenti percepisce un canone annuo, che potrebbe essere considerato come un corrispettivo, se correlato alla prestazioni ricevute dalla Rai, ma attualmente manca la trasparenza contabile (con una chiara contabilità separata),mentre l`importo dei canoni appare eccedente come corrispettivo e volto a coprire esclusivamente l`insieme dei costi.

L’esame degli ultimi 5 bilanci offre inoltre una visione più aderente alla reale situazione, al punto che il risultato 2001, che per Rai appare positivo (+3,99 milioni di euro),a livello di gruppo si mostra ampiamente in perdita (-22,41 milioni di euro). In tale arco quinquennale- secondo la Corte- il 2001 rappresenta un`inversione di tendenza dopo una serie ininterrotta di risultati positivi.

Mentre il risultato dei 5 esercizi esaminati dà al gruppo un utile di 262 milioni di euro, con costi complessivi pari a 13,061 miliardi di euro a fronte di ricavi per 13,833 miliardi, in massima parte dovuto al canone pagato dai cittadini pari a 6,527 miliardi di euro, mentre i ricavi da raccolta pubblicitaria sono stati pari a 5,052 miliardi di euro.

Anche dall’indagine della Corte dei Conti emerge chiaramente che i maggiori azionisti della Rai sono i cittadini,da una parte obbligati a pagare il canone, dall’altra tenuti fuori dalla gestione di un’azienda pubblica che avrebbero diritto ad amministrare con loro rappresentanti nel cda e nel collegio sindacale,anche per offrire esperienze e punti di vista estranei ad un management nominato dai partiti e che difficilmente risponde del suo operato.

L’Intesa dei Consumatori chiede al Governo una inversione di tendenza, che preveda, già nel disegno di legge Gasparri, la possibilità di riservare uno o più membri del cda alle rappresentanze degli utenti ed almeno un membro del collegio sindacale, al fine di una corretta applicazione di quei corretti principi nella gestione delle imprese, che non possono né debbono tagliare fuori, come nel caso della Rai, gli utenti-consumatori, ossia i principali azionisti di maggioranza.





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