Ieri sera, dopo un arringone del bravo Curzi, che su Liberazione aborre giustamente la guerra , ma se ne dimentica quando vittima inutile è una sua giovane collega in tutto giustificata per la ?propria? morte orribile e dolorosa, anche Chiambretti ? che delusione! – si è allineato nella difesa, e anzi esaltazione di un episodio che, invece, dovrebbe far riflettere ed esaminare con freddezza una professione divenuta una pericolosa rincorsa alla competizione esasperata (e non mi riferisco certo al caso concreto di Maria Grazia) e all’emozione provata sulla pelle come condizione unica per poterla ?trasmettere? ai lettori. Se riusciamo a separare ? e non è certo facile – la tragedia del dolorosissimo evento che ha colpito una bravissima giornalista, una giovane che non meritava di morire, dalle implicazioni educative che dagli ?osanna? seguitine a suo favore sulla stampa, forse facciamo un buon servizio al cittadino utente della stampa. Mi occuperò, da difensore degli utenti, ma anche giornalista pubblicista, del secondo fenomeno. Questa mattina sul Corriere della Sera una ragazza di 14 anni scrive una lettera ampiamente evidenziata dal quotidiano ?vittima? del tragico evento di guerra a pag. 4??sono rimasta affascinata?ho capito che persone speciali come te riescono ad affrontare tutto pur di poter svolgere il proprio lavoro ?spero di riuscire anch’io a raggiungere questi tuoi obiettivi e ideali un giorno?tu hai dato la vita per il tuo lavoro e noi non lo dimenticheremo??.
Non vogliamo dire che tornare al cronista di guerra, militarizzato e protetto come era nelle vecchie guerre di inizio secolo, sia una cosa positiva: tutt’altro. Ma non ce la sentiamo di esaltare davanti ai giovani una professionista che si fa arrestare per tentare di carpire , nascosta dal burka, notizie di prima mano, o da un altro che si traveste da talebano per arrivare a Kabul, o una giovane innocente, e forse immatura, che si lancia sulle piste battute da guerre e criminalità comune per arrivare più avanti verso la bocca del cannone?tanto più quando ormai non è nemmeno più in discussione il diritto collettivo ad essere informati, visto che ormai la guerra non ha più segreti e sono centinaia, forse migliaia i cronisti sparsi dappertutto in Afghanistan, a cercare una improbabile notizia ?in più…
A provocare dolore immenso nelle morti inutili sono innanzitutto le vittime stesse. Scomparse loro, chi rimane deve darsi da fare, per non essere schiacciato dal senso di colpa,?quello di un Direttore maturo ed anziano che non ha fatto nulla per fermare una giovane innocente, come quello di colleghi rimasti a casa al calduccio delle loro scrivanie, o anche quello della categoria di appartenenza che fomenta da sempre tali comportamenti, a giustificare, esaltare, portare in trionfo il ?coraggio? di una vittima inutile e ingiusta. Così ai giovani di 14 anni si trasmette il concetto che ?informare? , sacro diritto costituzionale, giustifichi anche morire, col dare immenso dolore a una madre e ad un padre che sicuramente , coraggiosamente silenti, non ne sono affatto convinti. Si insegna loro , in una pericolosa confusione tra fine sacro e inviolabile di informare la popolazione, e meta, ambiziosa e perniciosa, di superare gli altri con uno scoop da prima pagina , che ??pur di poter svolgere il proprio lavoro?? si può e deve anche essere pronti a morire?
Chissà se quando è morto il soldato americano all’inizio dei combattimenti, o quando morirà un carabiniere italiano del contingente in partenza per il fronte, ci sarà la stessa epica esaltazione di una morte, in quel caso, sicuramente ?utile? anzi necessaria . Non ne sono convinto. E non ne sono sicuro soprattutto se leggo la ?tirata? pro categoria che il bravo Severgnini approfitta per fare nella stessa pagina 4 del Corriere: la tragica morte di Maria Grazia ? secondo lui ? dimostra che il giornalismo non si compone di persone di ?cui non ci si può fidare?, o che a volte ?tacciono?, ?tergiversano? ?travisano?, e, quel che più conta (anche se non lo dice esplicitamente) non inseguono giorno dopo giorno la competizione, lo scoop clamoroso, la prima pagina a tutti i costi?anche della vita! Speriamo che almeno lui ci creda davvero?e speriamo che i servizi sulle morti dei giornalisti siano curati, nei prossimi giorni, oltre che da loro colleghi anche da qualche psicologo dell’età evolutiva, a protezione dei giovani e della loro formazione .
Carlo Rienzi
Presidente CODACONS e giornalista