Rappresenta la nuova Siria. Asma Akhras Al Assad ha 33 anni. E’ nata e cresciuta a Londra, figlia di un cardiologo e di una diplomatica siriani. E’ la moglie del Presidente Bashar Al Assad. Dopo l’università in Gran Bretagna, ha lavorato come analista finanziaria per grandi istituti internazionali di investimento, quali la Deutsche Morgan Grenfell e la JP Morgan.
E’ venuta in Italia su invito del Centro Pio Manzù di Rimini per partecipare al convegno "Le ragioni di Penia. La coscienza della prosperità: per una nuova economia morale" e ricevere la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica italiana conferita dal Comitato scientifico del Centro Pio Manzù per il ruolo svolto nello sviluppo economico e sociale nel suo Paese e per l’opera a favore dello sviluppo sostenibile del mondo arabo. Asma Al Assad ha concesso un’intervista in esclusiva a Famiglia Cristiana.
- Signora Assad, come si può combattere lo sviluppo diseguale a livello planetario visto che le classi abbienti non sembrano prestare molta attenzione alle condizioni dei poveri?
«Dobbiamo ridefinire chi è ricco e chi è povero. Se lo guardiamo dal punto di vista materiale è semplice. Ma se usiamo altri criteri, quali il senso morale, i valori, il senso di umanità, il quadro cambia. Ciò che io desidero è che questi aspetti possano essere uniti. Si tratta di mobilitare tutte le risorse che abbiamo per la prosperità e il benessere di tutti. Talvolta ci sono persone benestanti che cercano di acquistare la felicità, ma la felicità viene dal cuore. Se comprendiamo che lo sviluppo diseguale è una sfida globale, ci siamo già avvicinati alla soluzione. La povertà non colpisce solo le nazioni povere, ci sono poveri negli Stati Uniti, nelle economie più avanzate. Se siamo d’accordo che la povertà comunque ci può condizionare, dovremmo già essere indotti a fare qualcosa. La povertà è alla base dell’analfabetismo, il che impedisce di interagire con il resto del mondo. La povertà conduce al terrorismo, all’estremismo. Si tratta di sfide che riguardano tutti».
Asma Al Assad con il marito a Parigi il 13 luglio (foto AP/La Presse)
- Il suo Paese ospita due milioni di profughi iracheni giunti dopo il 2003, ha accolto decine di migliaia di libanesi durante la guerra del 2006, è rifugio per centinaia di migliaia di palestinesi da decenni, senza che questo abbia suscitato alcuna reazione ostile tra la popolazione. In Europa e in Italia l’immigrazione dai Paesi poveri crea tensione. Come spiega le reazioni diverse ?
«"Per voi in Europa l’immigrazione è un problema. Per noi l’immigrazione è la conseguenza del problema. La gente lascia i nostri Paesi e viene da voi, perché noi abbiamo la povertà. Questo poi crea problemi a voi. Siccome siamo poveri, trasferiamo il nostro problema a voi. Ecco allora che lavorare insieme diventa prioritario. Oggi abbiamo in Siria 1,5 milioni di iracheni, oltre 500 mila rifugiati palestinesi e nelle sei settimane dell’estate 2006 circa 700 mila libanesi hanno attraversato la frontiera rifugiandosi in Siria. È come se in Italia fossero arrivati 5,8 milioni di profughi in pochi mesi. Noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo aperto le nostre scuole. Al momento sono 30 mila i bambini iracheni che studiano nelle scuole siriane e speriamo con l’anno prossimo di arrivare a 50 mila. Perché lo facciamo? Perché se ai bambini si dà la possibilità di studiare, noi abbiamo sostenuto una generazione, e non importa che siano iracheni. Sono i nostri vicini. In Medio Oriente si guarda al vicino, si ha relazione con lui. Un vicino in difficoltà, crea difficoltà anche a noi. Abbiamo aperto a loro anche i nostri ospedali. Molti venivano da zone di conflitto, avevano bisogno di terapie fisiche, psicologiche. Da noi l’assistenza sanitaria è gratuita. Ma la cosa più importante è che abbiamo aperto i nostri cuori, i nostri occhi, le nostre orecchie. Non si dimentichi che la Siria non è un Paese ricco e questa ondata ha avuto un grande impatto sulle nostre infrastrutture. Ma cosa avremmo potuto fare d’altro? Non c’erano alternative».
- Lei è nata e cresciuta a Londra, prima di tornare definitivamente a Damasco. A quale mondo, a quale cultura sente di appartenere ? In che lingua riflette (Asma Al Assad parla arabo, inglese, francese e spagnolo) ? In che lingua canta le canzoni ai suoi figli (sono tre di 6, 4 e 3 anni)?
«Considero me stessa cittadina del mondo. Ho avuto l‘opportunità unica di beneficiare di culture e modi di vita differenti. Sono nata e cresciuta in una casa siriana nel centro di Londra. Ho avuto l’opportunità di acquisire l’eredità siriana. Ed è molto importante, perché se non sapete da dove venite, non avrete mai il senso di dove state andando».
- Ma in quale lingua canta ai suoi figli?
«In arabo, in inglese, ma di più in arabo. Però, anche loro mi cantano delle canzoncine».
Asma Al Assad in visita a un orfanotrofio cristiano a Malula in aprile
(foto AP/La Presse)
- Lei ha rivelato che dopo il matrimonio, per alcuni mesi, ha viaggiato in Siria in incognito per conoscere meglio la gente. Questo ricorda Mattia Corvino che nella seconda metà del Quindicesimo secolo usava lo stesso sistema per capire da vicino coloro su cui regnava. Pensa che i governanti siano lontani dai popoli che governano e abbiano bisogno di informazioni di prima mano?
«Anzitutto non è tanto importante la posizione che si occupa, quanto ciò che si fa. La posizione, però, assicura una piattaforma incredibile che va gestita con responsabilità in modo da garantire l’uso di risorse che sono a disposizione in modo che possano influenzare positivamente i cambiamenti nel Paese. A coloro che sono nella mia posizione vengono richiesti dei risultati. La gente vuole vedere dei cambiamenti. Vuole migliorare la propria qualità della vita. Isolandosi dalle necessità della gente, come possiamo assumere una posizione, da quali fonte possiamo attingere informazioni, come possiamo accedere alla vita reale?. Più si riesce a costruire un rapporto con la popolazione, più fiducia si crea tra le persone e più efficace sarà l’azione di cambiamento. Non rivendico di avere tutte le risposte. Ho visto che il più delle volte le soluzioni vengono dalle stesse persone che hanno i problemi».
- Lei è nota per aver sempre detto che «una famiglia forte significa una società forte». Come si può proteggere la famiglia?
«A Londra la mia famiglia consisteva di cinque persone. Avevo una sensazione di stretta appartenenza tra di noi, trasmessa dai genitori. Ho avuto il meglio che la Gran Bretagna potesse offrirmi come formazione. Nello stesso tempo mi è stata insegnata in famiglia il modo di vita siriano. In occasione di visite in Siria, c’era poi ad attenderci la grande famiglia. Il Medio Oriente è una grande famiglia. Tutti si riuniscono. A Londra eravamo in cinque. Se adesso raccolgo in Siria solo i più stretti familiari sono duecento. Ciò che conta è tenere unita questa comunità. E non è necessariamente una questione di legami di sangue, ma piuttosto un senso di solidarietà, un legame sociale. Mi dicono, la Siria non è un Paese ricco, ma non si vedono poveri nelle strade, e tantomeno gente morire di fame. Come è possibile?. Rispondo che dipende dalla popolazione che si prende cura dell’altro, persone che si proteggono reciprocamente, che si ritrovano insieme nei momenti di difficoltà. Questa è la famiglia a cui mi riferisco. Quando si ha una famiglia così, la società è invincibile».
- Lei ha tre figli, come fa a coniugare il ruolo di First Lady con i compiti di una mamma?
«Bisogna decidere che cosa è più importante. Ho tre figli sotto i sette anni. Hanno bisogno anzitutto di una madre e di un padre prima che di un Presidente e di una First Lady. Non ho fatto figli per affidarli ad altri. Questa è una priorità per me. Ma c’è anche da dire che tutto quello che faccio è per la loro generazione. Il mio lavoro è per un futuro migliore per la nuova generazione, di cui i miei figli fanno parte. Bisogna trovare il giusto equilibrio».
- Quanto tempo passa con i figli?
«La mattina li porto a scuola, all’asilo. Ho quindi il tempo di seguire i miei progetti, le mie iniziative. Quando tornano, vengo a casa per essere sicura che facciano i compiti, che non passino troppo tempo davanti alla tv. Sono piccoli ed è ancora facile gestirli. E la sera tocca al Presidente. Poi abbiamo i week-end. Si trova sempre il tempo. Se no, è solo una scusa. Non la accetto».
- Lei sostiene che in Siria musulmani e cristiani sono parte dello stesso corpo. Ma purtroppo al giorno d’oggi la religione viene spesso usata per dividere anche parti dello stesso corpo.
«Vede il corpo unico in Siria è il risultato di una storia comune. Generazione dopo generazione, secoli dopo secoli. E’ qualcosa che dobbiamo salvaguardare, proteggere e contemporaneamente farne una bandiera per contrastare coloro che guardano alla Religione come fattore di divisione. Ora come ora la discussione dovrebbe essere avviata all’interno delle singole Religioni. Le interpretazioni dell’Islam tra gli stessi musulmani sono diverse. Anche nel Cristianesimo variano le interpretazioni. Bisogna allora ricordare come tutte le fedi condividano gli stessi valori: amore e compassione, rispetto e integrità, apertura e accettazione dell’altro. Se torniamo a questi valori, indipendentemente dal fatto di essere Cristiani, Musulmani o Ebrei, scopriamo che la Religione ci unisce».
- Quando sente parlare di scontro tra civiltà qual è il suo sentimento?
«Che si tratta di un concetto coniato da gente con la mentalità chiusa. C’è una sola civiltà, quella umana, e non conta dove vivete, da dove arrivate, di che fede siete. Sicuramente in questa unica civiltà ci sono diversi colori, culture differenti, varie religioni, diverse tradizioni, ed è triste vedere che in un’epoca in cui i mezzi di comunicazione si sono sviluppati come non mai, l’incomprensione cresca e il divario divenga giorno dopo giorno più grande».
- Come vede la condizione delle donne nei Paesi arabi e in Siria in particolare?
«Ci sono aree dove le donne combattono ancora per conquistare il diritto di voto. E ci sono Paesi, invece, dove le donne occupano un significativo numero di seggi in Parlamento. Per la Siria posso dire che siamo dei pionieri in diversi campi. Il Presidente è stato il primo nel mondo arabo a nominare un vice presidente donna. Abbiamo la maggiore rappresentanza parlamentare femminile nel mondo arabo: il 13 per cento. In economia cresce il numero delle imprenditrici. In politica abbiamo donne alla guida di ministeri. Abbiamo donne nel settore diplomatico come ambasciatori. Una folta presenza nel settore scientifico. Nelle forze armate abbiamo sempre più donne in settori diversi, da quello sanitario sino alle unità di combattimento, e acquisiscono gradi sempre più elevati. Spesso le donne vengono nominate a incarichi importanti per dimostrare che le opportunità sono uguali. Posso dire che noi assistiamo in Siria all’avanzamento di donne che sono capaci, sono preparate. Con questo non voglio dire che siamo perfetti, ma sottolineare piuttosto i significativi passi compiuti. Certo, dobbiamo proseguire su questa strada».
- La Siria è un Paese giovane. Il sessanta per cento della popolazione è al di sotto dei 25 anni. E’ una grande sfida.
«Quello che abbiamo cercato di fare negli ultimi anni è di coinvolgere i giovani nel processo decisionale, nella ricerca di soluzioni, assicurandoli che sono parte nel dialogo. Così, quando contribuiranno non importa in quale settore alla crescita della società, la sentiranno propria. Personalmente ritengo che costituiscano la nostra più grande risorsa. Creano idee. Più creativi sono, più idee hanno. E le idee possono essere riutilizzate. Non sono un articolo usa e getta».
- Signora Assad, lei è rientrata in Siria alla fine dell’anno 2000, prima che una stagione particolarmente drammatica iniziasse per l’intera regione. Non ha mai avuto dubbi, paure?
«Io ho incontrato l’uomo dei miei sogni. Inoltre, nello stesso periodo a cui Lei si riferisce altri fatti significativi sono avvenuti, specialmente in Siria. L’analfabetismo è sceso. Abbiamo assistito a una diminuzione del venti per cento della povertà, a una crescita economica che rispetto al meno 1 per cento del Duemila e salito al più 6,1 per cento del 2007. Il governo si è impegnato a raddoppiare le spese per l’insegnamento nei prossimi cinque anni. Siamo stati testimoni di una crescita delle opportunità nel nostro Paese in ogni settore. Noi vogliamo beneficiare di tutto il meglio che questo Ventunesimo secolo ci può offrire. Per alcuni la situazione può sembrare scoraggiante. Io la trovo stimolante».